Se è vero come è vero che le cose migliori si scrivono con una sensazione in corpo e non soltanto con la penna o per esser più moderni la tastiera, allora non c’è forse da tempo occasione migliore di scrivere qualcosa sul sentimento collettivo che animava sabato scorso la bella Piazza per l’Europa che ha riunito a Roma fino a 50000 persone sventolanti per la maggior parte la bandiera europea. In piazza c’erano persone vere e in carne ed ossa che hanno risposto all’utile appello di Michele Serra ed alcuni rinomati intellettuali, poeti, scrittori, cantautori del nostro beneamato Paese con l’adesione e il caloroso incoraggiamento di tante e tanti Sindaci primo fra tutti il Sindaco di Roma. Paese che dimostra anche in quest’occasione di essere ancora un laboratorio politico con notevoli capacità d’innovazione.
E allora importa il giusto se in quella piazza c’erano persone che la pensano anche molto diversamente su varie questioni, che appartengono a mondi diversi o votano partiti diversi, tanti di quelli che c’erano ieri probabilmente non votano più da tempo pur essendo piuttosto interessati alla politica in quanto strumento per cambiare il mondo, perché il minimo comun denominatore che li univa era la consapevolezza della necessità di Europa. Quell’Europa che tante volte si è data per scontata o addirittura è stata negletta da alcuni ma che poi alla fine quando si insinua l’idea che si potrebbe davvero disfare, disperdere, arretrare, si fatica a non piangere consci la propria innegabile piccolezza in un mondo in cui le minacce si moltiplicano e il caos regna sovrano. La piazza dell’altro ieri dimostra che c’è un popolo attento che riconosce nell’Europa una garanzia nient’affatto scontata di libertà e giustizia e che è pronto a mobilitarsi per difenderla nonostante i suoi attuali limiti e i suoi travagli. Un popolo che ha memoria di ciò che il continente europeo è stato prima che alcuni antesignani decidessero di mettere in comune carbone, acciaio ed energia atomica firmando proprio a Roma, non certo a caso, gli storici accordi.
Un popolo che si interroga, discute, canta, parla e sogna fiero di sventolare la bandiera a dodici stelle gialle su sfondo blu di dire: noi siamo europei. Siamo europei tanto quanto ci indigniamo di fronte a un’ingiustizia, alla violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, all’uso sproporzionato della violenza o all’idea che il principio di autodeterminazione di un popolo possa essere venduto o comprato al migliore offerente che quando si chiede ai vertici degli Stati che compongono l’Unione di essere ambiziosi nel pensare a una riforma delle istituzioni europee, a un sistema di difesa e di sicurezza davvero comune o a gestire in maniera intelligente la responsabilità dell’accoglienza. Parlare del fatto che oggi non vi sia un manipolo di statisti in grado di dire o si fa l’Europa, o si cambia o si muore, potrebbe essere necessario ma sufficiente a costruire l’alternativa che occorre per dar voce alle speranze di questo popolo che esiste e si è riunito.
È davvero ora che la forza gentile che questo popolo è in grado di sprigionare venga ascoltata, sostenuta e interpretata. Non vi sarà altro modo per farlo se non quello di incarnare un vero pensare ed agire europeo da parte di tutte e di tutti e di cercare una sintesi che diventi azione, compito che spetta alla Politica. Quella politica che torna a farsi interprete di esigenze complesse ma comuni senza sudditanza nei confronti di poteri spesso senza nome e senza volto. Quella politica di cui dobbiamo tornare a farci interpreti senza timidezza stando in mezzo alla gente e ripartendo da quella grande piazza.