Nel centenario della marcia su Roma ci ritroveremo al potere il governo più a destra dai tempi del fascismo. Per qualcuno questa potrebbe essere la prova di maturità della nostra democrazia: possiamo capire quanto sia realmente forte, la stessa democrazia che ha resistito al ventennio berlusconiano, al terremoto renziano e allo strapotere mediatico di Salvini.
La questione reale è un’altra, non tanto la vittoria della destra (che in termine di voti assoluti conserva più o meno gli stessi voti di cinque anni fa, avviene solo un travaso da Lega a Forza Italia in favore di Fratelli d’Italia), la vera catastrofe è quella del Partito Democratico che scende sotto la soglia psicologica del 20%, prendendo addirittura meno della debacle renziana del 2018 in termine di voti reali. Un disastro.
Il segretario Enrico Letta accompagnerà il partito verso quello che potrebbe essere l’ultimo congresso del PD così come l’abbiamo conosciuto: un partito privo di identità, liquido e strutturalmente debole, dove i capi corrente la fanno da padrone.
Sembra quasi che quando Nietzsche parlasse di eterno ritorno, stesse parlando del partito del nazareno, visto che ad ogni elezione si convoca un congresso riformativo di un partito mai realmente nato, portando sempre allo stesso ciclico risultato infinite volte.
Questa volta, però, non si può pensare di cavarsela come nel passato, cioè mettendo in fila davanti ai gazebo 1 milione di militanti per poi dire che si è il partito della partecipazione, assumendo poi scelte invise a tutti, esautorando i giovani dai processi decisionali, lasciando in mano la gestione politica dei territori ai capi corrente che fanno il bello e il cattivo tempo.
Ne tanto meno si può immaginare di avviare una sfida sui nomi e su chi dovrà rappresentare il PD e il centro-sinistra, senza prima decidere chi si è, senza rendersi conto che ormai il nome, il simbolo e la struttura sono deteriorati e forse in qualche modo detestati.
Sono tanti gli elettori del centro-sinistra che hanno preferito barrare altri simboli rispetto a quello del Partito Democratico ritenuto ormai un partito governista, logoro e vecchio, nonostante abbia soltanto 15 anni di vita. In qualche modo, ovunque si va, si trova qualcuno che ce l’abbia con il PD: chi per la buona scuola, chi per il jobs act, chi per le scelte di un sindaco o di un Presidente di regione.
Questo è quanto emerso dalla conferenza del quasi ex segretario Letta.
Alla sinistra servirebbe un partito nuovo, capace di riunire sotto un’unica bandiera i riformisti, i radicali e gli ecologisti di sinistra, coronando il tutto con una guida giovane che si fondi sul senso di comunità e su una identità ben precisa: protezione sociale, lavoro, sviluppo socio-economico del Sud, scuola e cultura, diritti civili, sanità e ricerca.
Tutti temi dove il PD ha dimostrato ambiguità in questi anni e dove tutt’ora non risulta essere chiaro. Serve un partito capace di creare una nuova classe dirigente che metta da parte le rendite personali e che non abbia paura di fare opposizione e di ricomporre la rottura con il M5S, il quale scende al 16% rispetto a cinque anni fa, ma resta primo partito al Sud.
In questo nuovo soggetto confluirebbe sicuramente Articolo Uno, un pezzo importante della sinistra radicale e magari solo la parte a sinistra del PD, sciogliendo l’equivoco di fondo: ma noi chi rappresentiamo?
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