L’autogol, il suicidio, il pasticciaccio brutto di Conte. Da quel pomeriggio di un giorno da cani in cui i 5 Stelle sono usciti dall’aula del Senato al momento della fiducia, la domanda di tutti è stata: «Giuseppe, perché?». Ma il quesito più interessante è: «Draghi perché?». Perché il Presidente del Consiglio che navigava in acque torbide, ma relativamente tranquille, ha innescato un meccanismo che ha dinamitato la sua maggioranza? Ossia, perché ha infilato nel decreto “Aiuti”, che andava bene a tutti, il boccone avvelenato del termovalorizzatore romano, che c’entrava come i cavoli a merenda ma, si sapeva benissimo, faceva veder rosso ai 5 Stelle? E perché poi ha insistito sulla linea di crisi nonostante, sul piano costituzionale, non ne avesse ragione avendo comunque ottenuto la fiducia, sia alla Camera che al Senato? Sulla risposta sono incerto. Per un’umorale impennata da nume irato, da parte di chi non è abituato a esser contraddetto e possiede un ego ipertrofico? Forse, ma improbabile se non altro per la professione che ha praticato per una vita e che esclude le passioni dalle determinanti del comportamento. Perché voleva abbandonare il campo prima che si trasformasse in un’arena per forconi incandescenti quando in autunno esploderà la crisi che le sue politiche hanno innescato? Possibile, ma resta il fatto che in autunno a Chigi ci dovrà pur sempre essere, anche se dimissionario e dimissionato. O ancora: perché l’ambiente a cui da sempre appartiene e a cui resta leale, che governa al di sopra dei governi, vuole affrontare la tempesta perfetta che ci aspetta con truppe scelte e prive di infiltrazioni eterodosse? O forse solo per una sorta di ennui baudelairiano insorto a fine corsa…
Perché Draghi ha dinamitato la sua maggioranza? (di M. Revelli)
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