Il centrosinistra vince dicono dalle parti del Partito Democratico e hanno ragione ad esserne soddisfatti. Fino a qualche mese fa la cavalcata di Salvini e Meloni, con Berlusconi al traino, sembrava essere inarrestabile e nemmeno il più incauto degli ottimisti avrebbe potuto pensare che in queste elezioni amministrative il PD potesse festeggiare un risultato che immediatamente lo proietta come riabilitato alla corsa e punto centrale della possibile prossima coalizione.
L’avvento del governo Draghi e le mosse tutte sbagliate in casa Lega (non ultimo l’affare Morisi) ha determinato la possibilità di nuovi equilibri prima inimmaginabili e anche lo sgonfiamento del Movimento 5 Stelle (questo sì assolutamente atteso, sarebbe bastato non esserne ciechi tifosi) pone Letta in posizione di assoluta superiorità.
Il centrosinistra ha vinto le amministrative (nonostante Giorgia Meloni veda un “pareggio”, beata lei) ma il futuro del centrosinistra continua a essere piuttosto nebuloso e conoscendo bene le attitudini da quelle parti non viene difficile immaginare che la tattica del “lasciare tutto così” sia molto popolare tra qualche dirigente del partito.
Negli ultimi anni è accaduto spesso che la strategia ritenuta vincente fosse quella di non toccare niente, di non spostare niente, di non dire niente pensando (male) che la politica sia una zattera inerme che deve solo farsi trascinare alle prossime elezioni.
Eppure se c’è una condotta suicidaria in questo momento è proprio quella di appiattirsi sul governo Draghi facendosi notare il meno possibile, chiamando l’immobilismo senso di responsabilità e limitandosi a ratificare decisioni che l’idolatria diffusa continua (e continuerà) a mettere in capo a Draghi. Fare i camerieri, semplicemente, non porterà lontano, no.
Il Partito Democratico in questi ultimi mesi si è intestato le battaglia di diritti individuali (a partire dal Ddl Zan) che a fatica troveranno luce ma non può pensare di prendere voti senza prendere una posizione decisa (che non si limiti solo a qualche timido tweet) sui diritti dei lavoratori (schiacciati da una certa narrazione imperante, dalla congiuntura postpandemica e dall’enorme peso che Confindustria esercita su questo governo), sulla transizione ecologica (che no, che non può essere un burocratico impegno da espletare senza coglierne le opportunità), e dalla costruzione e manutenzione di uno stato sociale evidentemente sotto attacco (le guerra ai sussidi sta vivendo un’epoca fiorente e diffusa).
Il Partito Democratico non può permettersi di subire battaglia lontane dal suo ruolo e dalla sua natura che per di più sono già nel paniere di un centro liberale che si sta formando in questi ultimi mesi.
Insomma, il PD potrebbe cogliere l’occasione per fare il PD, senza paura. Perché il serbatoio di voti va coltivato e perché anche queste amministrative hanno dimostrato che, nonostante il bombardamento di certi leader e di certi media, questo è un Paese che ci tiene eccome ai diritti e all’uguaglianza. Se non ora, quando?