Luigi Di Maio lancia la campagna per le elezioni regionali del 26 gennaio. Lo fa questa sera da Bologna a due mesi circa (64 giorni) da una tornata elettorale che può essere cruciale per la tenuta del governo M5S-PD.
La base grillina ha imposto ai vertici, loro malgrado, di partecipare alle regionali in Emilia-Romagna e in Calabria. E ora la sfida per i 5S si fa dura perché il termine entro i 50 giorni per presentare le liste si avvicina.
I prossimi due mesi saranno di fuoco e fiamme per tutti: dalla Lega al Pd passando per le sardine e il M5S. Prepariamoci a una tra le più combattute e polarizzate campagne elettorali dal referendum costituzionale del 2016 di Matteo Renzi.
In ballo c’è il governo stesso, l’ultimo di questa legislatura, come ribadito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella; lo scioglimento delle camere; quindi elezioni anticipate. E per chi dovesse aggiudicarsi la maggioranza anche la possibilità di eleggere tra due anni il nuovo capo dello Stato.
Non solo: i prossimi 60 giorni saranno cruciali anche per la tenuta stessa del M5S, ovvero per il suo rilancio o per il suo tanto annunciato, tanto agognato auto-inflitto tramonto.
Nello stesso giorno, oggi lunedì 25 novembre, si terrà a Parma un’altra delle manifestazioni a cui il popolo delle sardine ci ha abituati negli ultimi giorni.
Il PD dovrebbe fare un passo: perché Nicola Zingaretti non convoca a Roma il leader delle Sardine Mattina Santori e ascolta le sue proposte? Qual è altrimenti il senso di un movimento che ha mostrato che esiste un’altra Italia oltre quella del Papeete?
Le sardine hanno un manifesto: mi aspetterei che il PD sottoscriva la maggior parte di quelle misure e faccia in modo che siano convertite in un programma di governo.
Cos’altro devono fare le sardine per lanciare un grido di aiuto e la necessità di essere rappresentati da chi fa politica per mestiere?
Il loro movimento, e lo hanno dichiarato apertamente, è un anticorpo: non vogliono altro che venga raccolto il loro messaggio, così ampiamente accolto dalla piazza, e che venga messo nero su bianco da chi detiene il potere.
Non è invece ancora certo se domani Matteo Salvini sarà a Parma, proprio in concomitanza della manifestazione delle sardine prevista per le ore 19 al Duomo, e c’è da aspettarsi che d’ora in poi il leader leghista eviterà appositamente tutte le tappe in cui rischia di venire mediaticamente accerchiato dal neonato movimento.
Non lo ammetterà mai, ma l’impressione – e badate bene è solo un’impressione – è che Salvini sia rimasto perlomeno spiazzato dalla grande mobilitazione dal basso che, va detto ed è innegabile, ha imposto la sua agenda al dibattito pubblico italiano negli ultimi giorni. Ma questa rischia di rimanere appesa a se stessa se non viene raccolta, elaborata e formulata in una proposta concreta. Tanto rumore per nulla.
Di Maio, ad esempio, cosa pensa delle sardine? Non ne parla. Cosa ha di più importante a cui pensare visto che ha persino disertato un vertice dei ministri degli esteri in Giappone? Temo di conoscere la risposta.
Del resto il ministro degli Esteri finora non ha mostrato particolare cultura politica, né è portatore di un’identità chiara e definita, sua o del Movimento. Che ci azzecca un 33enne campano con idee inclini alla destra con un 32enne bolognese con idee di sinistra?
Il problema alla base per cui nulla di questo accade, e cioè perché né PD né M5S colgono la palla al balzo con le sardine, è che esistono almeno tre M5S e almeno due PD, più l’influenza di Italia Viva che soffia da destra. Di Maio, Fico e Grillo: tre pensieri diversi, tre linee politiche diverse. Questo oggi sta dilaniando il movimento. E non è detto che l’incontro Grillo-Di Maio di sabato scorso possa sortire un qualche effetto riconciliante e costruttivo. Per non parlare della incompatibilità grillina con alcuni dem.
Ma ora, fatto il pastrocchio, conviene a entrambi – M5S e PD – mettere da parte l’orgoglio e trovare una linea d’intesa nell’interesse comune. Il che vuol dire fare le cose e non tirare a campare. Ascoltare e fornire risposte. Partendo ad esempio dal comportamento, checché lo si giudichi, quanto meno lineare e non bipolare del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. A meno che non vogliano essere spazzolati via per sempre tra due mesi.
Da segnalare che la pagina Facebook delle 6.000 sardine, strumento cruciale per un movimento nato dal basso che si nutre della condivisione di idee e della mobilitazione della società civile, nella serata di ieri è stata temporaneamente chiusa. La pagina, fortunatamente, è stata poi riaperta.
Una nota andrebbe comunque spesa anche a favore di tutte le altre associazioni, dei partiti e più in generale di quelle organizzazioni che negli ultimi mesi hanno subito una censura da parte dei grandi colossi come Facebook: misure simili, anche se temporanee, non sono solamente ingiuste, a meno di serie violazioni che ledono e prendono di mira apertamente religioni, razze e popoli, ma servono esattamente ad amplificare il messaggio di chi viene censurato.