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    PD e M5S hanno perso una battaglia, ma non la guerra: ecco perché l’alleanza deve continuare

    Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 28 Ott. 2019 alle 11:19 Aggiornato il 28 Ott. 2019 alle 11:24

    Battuti nelle urne. La nuova alleanza giallorossa ha incassato una sconfitta terribile in Umbria. Venti punti di distacco non sono un accidente, sono una sentenza. Però la disfatta non si è consumata ieri, nel gorgo di una giornata elettorale.

    Ma molto prima, nei cinque anni che hanno preceduto il voto. Scandali, mala gestione, perdita di contatto con la realtà, concorsi aggiustati: le classi dirigenti del vecchio centrosinistra avevano iniziato a suicidarsi quando nel corso di una sola legislatura, tutte le città importanti della regione avevano iniziato a cadere, una una, in mano al centrodestra: dal nord al sud, da Perugia a Terni.

    Il modello amministrativo appenninico non esiste più. Da questo voto parte la lunga marcia di Matteo Salvini per ribaltare la sconfitta di questa estate. Inizia la guerra, però, non si conclude: perché la via Crucis è lunga, a avrà nelle regionali dell’Emilia Romagna la sua giornata campale.

    Mentre per i giallorossi il discorso è esattamente ribaltato: hanno perso una partita importante, ma giocavano “fuori casa”. E il fattore locale – come vediamo – ha pesato moltissimo su questo risultato.

    La sconfitta – infatti – è maturata in maniera irreversibile, forse, nella primavera scorsa, quando l’ex presidente Catiuscia Marini si era esibita in questo incredibile primato. Ovvero: prima dare le dimissioni, pressata sull’onda delle inchieste e dello scandalo. E quindi rimangiandosele, in un curioso voto contro se stessa.

    Ma passiamo ai protagonisti: il Pd ha perso in Umbria perché non aveva più la sua vecchia identità. Il Movimento Cinque Stelle, invece, perché non è riuscito ancora a trovarne una nuova.

    Il partito degli “accusati” dalle inchieste era coalizzato con il partito degli “accusatori”: entrambi colti dal voto nel guado di un rinnovamento difficile, ma entrambi a metà strada nel loro percorso di riprofilamento identitario.

    Ma la sconfitta è stata – anche – una sconfitta nazionale: questo dato ci dice che la nuova maggioranza non si è ancora radicata nel paese, che non ha toccato le corde profonde di un sentimento collettivo.

    Che non ha ancora spento l’incendio della rabbia dell’Italia colpita al cuore dalla crisi. A me pare che il governo giallorosso oggi sia definito solo da un colore, perché non ha ancora scelto un profilo politico netto. Che non abbia ancora abbracciato una ragione sociale. Che esprima un riformismo dall’altro senza farsi popolo.

    Non è un caso che “la foto di Narni” con tutti i leader sia arrivata quasi per caso, all’ultimo minuto: non un ritratto posato, ma un selfie quasi rubato. Mi sembra che – visto Dall’Umbria – questo governo sembri come quegli alunni diligenti che fanno benissimo i compiti a casa, ma che poi non brillano nelle interrogazioni.

    A questo governo manca un racconto, un centro di gravità permanente, l’idea che lascia il segno. Lo slogan che definisce il perimetro del campo. La bandiera per cui si lotta e – se serve – si muore.

    Ci sono molte facce pulite, in questa squadra, tante buone idee, ministri competenti. Ma non c’è ancora la sintesi. La manovra mette in sicurezza i conti pubblici, lancia tante indicazioni di prospettiva, un grande significato simbolico con il messaggio del cuneo fiscale.

    Ma la lezione umbra è questa: la diligenza, nel tempo della crisi non basta. La Lega – può piacere o meno -ma una sua risposta alla crisi l’ha elaborata. Questo biglietto da visita ha scritto sulle sue credenziali parole come no all’immigrazione, sovranismo, dazi, Flat Tax.

    Puoi anche combatterla, questa identità, ma non si può negarne la forza. I giallorossi, invece, hanno qualcosa di più da fare: devono costruire un racconto, indicare un percorso.

    Sommano tante idee diverse, ma non hanno ancora trovato il filo che lega e unisce tutto insieme. È bene che lo facciano presto, se non vogliono perdere la partita più importante, la finale che si combatterà alla fine della legislatura, dopo aver strappato la qualificazione in Emilia Romagna.

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