Da Pierre Mendès-France ho imparato una grande lezione: è meglio perdere un’elezione che perdere l’anima. Un’elezione si può rivincere dopo cinque anni, che vuole che sia? Ma se si perde la bussola, o si perde l’anima, per ritrovarle ci vogliono generazioni (Jacques Delors)
Enunciato in termini generalissimi, il secondo principio della termodinamica afferma che il cosmo tende verso uno stato di caos totale. La misura del suo implacabile aumento è data da una grandezza che i fisici chiamano entropia. In parole semplici, può essere definita come il grado di disordine di un sistema. L’entropia del sistema politico italiano, già elevata, sembra destinata a crescere ulteriormente. Il premier Conte ostenta sicurezza, ma il suo azionista di maggioranza è sull’orlo di una crisi di nervi che per lui potrebbe rivelarsi fatale. Lo scontro tra Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, infatti, è solo l’ultimo capitolo di una dura lotta intestina per spartirsi le spoglie del movimento, nonché di una profonda crisi d’identità del suo gruppo dirigente.
C’è chi considera questo gruppo dirigente una associazione di incompetenti, e c’è chi lo ritiene una specie di rumorosa scolaresca dove si trova di tutto. Come si può immaginare un futuro allargamento del mitico “campo del centrosinistra” con i rappresentanti di un populismo digitale incompatibile con i principi della democrazia parlamentare? Nicola Zingaretti, Dario Franceschini e Goffredo Bettini credono sul serio di poter recuperare voti dal bacino dell’astensione, che probabilmente resta ormai l’unico a cui rivolgersi per conquistare nuovi consensi, salendo a bordo di una barca – quella grillina – che fa acqua da tutte le parti?
E come si concilia l’idea di costruire un nuovo bipolarismo, prospettata dal segretario dei democratici, con un sistema elettorale di tipo proporzionale? Quando qualcuno solleva questi dubbi, scatta immediata la reazione dei tifosi dello stato di cose esistente. Perlopiù invitano a non “disturbare il manovratore”, perché o si mangia ciò che passa il convento o l’unica altenativa è il digiuno. Pelose lezioni di realismo politico, in cui si riflette un malcelato fastidio per quanti si rifiutano di accodarsi alla vulgata del fascismo alle porte, a cui talvolta si accompagna l’accusa di essere falsi profeti, disfattisti, pavidi e, nella migliore delle ipotesi, anime belle, cioè – secondo la definizione di Hegel – anime pure e incontaminate, ma completamente incapaci di agire nel mondo, e di influire sul suo corso con il proprio impegno e con la propria operosità.
In realtà, sembra quasi che sia vietato criticare la conclamata subalternità a logiche di potere per il potere di cui sta dando prova la sinistra al governo; e che chi dissente, quindi, debba tacere e annullarsi nella volontà della maggioranza. Perfino di fronte alle scelte più discutibili, a cominciare dalla pantomima inscenata a villa Doria Pamphilj. Questa è l’ora dell’obbedienza e della disciplina (anche intellettuale), si dice, non di polemiche distruttive dettate da meschini calcoli elettorali. Vero, ma fino a quando può durare? La popolarità del premier Conte è ancora notevole, perché in un passaggio così luttuoso della vita nazionale i cittadini hanno bisogno di avere fiducia nella figura istituzionalmente preposta alla soluzione dei loro problemi.
Ma i cittadini non hanno firmato una cambiale in bianco. Il paese è in ginocchio, e che qualcosa non abbia funzionato nelle strategie di contenimento dell’epidemia è ormai evidente. Lo testimonia la proliferazione di task force e commissari incaricati di programmare il futuro dopo un passato in cui il personale sanitario, pagando un prezzo altissimo alla propria generosità e abnegazione, è stato mandato allo sbaraglio negli ospedali come i fanti del generale Cadorna contro i reticolati austriaci durante la prima guerra mondiale. Inoltre, resta da spiegare l’anomalia lombarda con argomenti meno vaghi e più convincenti, invece di puntare il dito con toni moraleggianti sulle abitudini festaiole e peripatetiche di famiglie e runner.
Pensare di poterlo cambiare in questo momento è del tutto irrealistico, ma la verità è che abbiamo a Palazzo Chigi un personaggio abile e volenteroso, ma certamente non all’altezza della situazione drammatica in cui versa il Paese. Altri governi europei non hanno brillato per capacità di execution e hanno colpevolmente sottovalutato la potenza geometrica del coronavirus, ma il nostro vi ha aggiunto un sovrappiù di indecisionismo mal dissimulato da una straripante quanto enfatica frenesia comunicativa.
Se gli Stati generali dell’economia tardassero a dare i risultati promessi, la speranza di molti potrebbe degenerare nell’accidia, ossia in una sorta di depressione, di stanca indifferenza per le sorti della comunità di cui facciamo parte; o, più probabilmente, nell’ira e nella rivolta cieca contro chi verrà considerato l’untore di turno. Due peccati capitali che Kant definiva un “cancro della ragione”, un attacco – subdolo o frontale – all’unica facoltà che può metterci al riparo dalla deriva di passioni incontrollabili.
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