L’abbraccio con il quale Macron ha accolto il presidente egiziano Al Sisi, in visita ufficiale a Parigi, mi ha provocato una forte sensazione di disagio. Al di là di quanto previsto dai protocolli diplomatici (e peraltro l’abbraccio non sempre è previsto, essendo poco gradito in alcune culture), il vero problema era la coincidenza della visita con l’ennesimo rinnovo dell’assurda detenzione di Patrick Zaki, prolungata di ulteriori 45 giorni. Ecco perché quel gesto, che in altre circostanze poteva anche essere simpaticamente informale, mi è sembrato sintomatico della perdurante debolezza dell’Europa.
Se vogliamo davvero opporre una visione costruttiva all’impeto distruttivo dei sovranisti, dobbiamo lavorare affinché l’Unione parli con una voce sola sui temi che caratterizzano il nostro tempo, dalle migrazioni ai cambiamenti climatici, passando ovviamente per il fondamentale rispetto dei diritti umani.
Le vicende di Zaki e Regeni non possono essere derubricate a esclusiva pertinenza italiana, ma d’altra parte, per ciò che riguarda i rapporti con l’Egitto dobbiamo essere noi i primi a farsi un esame di coscienza. Mentre organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch e Amnesty International denunciavano all’opinione pubblica la gravità della situazione, della quale Regeni e Zaki sono purtroppo solo due casi tra i tanti, si consolidavano i rapporti tra i governi che si sono succeduti in Italia e quello di Al Sisi, la cui prima visita all’estero da presidente è stata proprio nel nostro Paese.
Non siamo certo gli unici ad avere importanti interessi in comune con l’Egitto, il cui ruolo è fondamentale sia sul piano economico che nello scacchiere geopolitico. Il congelamento del business turistico per via del Covid-19 è efficacemente compensato dal fiorire di progetti che ne fanno un mercato appetibile per diverse industria nei settori dei trasporti, della logistica, dei servizi e dell’oil and gas.
Entro il primo trimestre del 2021 è previsto il riavvio – dopo otto anni – dell’impianto di liquefazione di Damietta. L’annuncio dei relativi accordi è avvenuto proprio in corrispondenza con l’attesa per la decisione sul caso-Zaki, per la cui libertà si era inutilmente spesa anche Scarlett Johansson. La proprietà dell’impianto è di SEGAS, società partecipata al 40% da Eni, attraverso Union Fenosa Gas (al 50 per cento tra Eni e Naturgy). Ed è proprio Eni il principale produttore di gas in Egitto, ragione per cui questo progetto riveste un’importanza fondamentale sia per l’azienda italiana che per l’economia locale.
Lo stesso si può dire dei tanti business internazionali che si vanno concentrando dal Nilo al Mar Rosso, oltretutto in una fase storica nella quale la difficile congiuntura economica spinge a cogliere al volo tutte le opportunità presentate dal mercato. Sfruttarle nel migliore dei modi non è solo necessario, ma anche “sano”, in un’ottica di sviluppo.
Tuttavia, questo non può prescindere dalla capacità di tenere il punto con fermezza sui requisiti minimi che l’Europa chiede a chi vuole farne parte e che deve esigere anche dai propri interlocutori. Se i valori fondanti sono in vendita, le fondamenta della casa comune non possono essere solide. E il crollo è difficile da scongiurare.