Nelle ultime settimane alcune notizie, dal mondo e soprattutto dall’Italia, mi hanno colpita molto.
Il 10 gennaio, Michaela Jaé Rodriguez è stata la prima donna trans a vincere un Golden Globe. È stata premiata per la sua magnifica interpretazione di Blanca, nella serie Pose che tanto ci ha appassionato e commosso. Pochi giorni dopo, la Rai ha annunciato che una delle serate del Festival di Sanremo sarà condotta, assieme ad Amadeus, da madame Drusilla Foer, la splendida donna a cui ha dato vita e arte Gianluca Gori.
Sono notizie diverse, certo.
Nel caso di M.J. Rodriguez a venire in primo piano è il tema dell’identità di genere, così (strumentalmente) dibattuto durante l’iter parlamentare del d.d.l. Zan. Un tema che è centrale in Pose, assieme all’orientamento sessuale, alle lotte di liberazione della comunità LGBTQI+ negli anni Ottanta e Novanta e, soprattutto, alla dolorosa memoria del primo tragico apparire dell’HIV e dell’AIDS. Temi che sono entrati nelle nostre case, con tutta la forza delle storie, dunque grazie all’arte e alla cultura.
Nel caso di Drusilla il discorso è diverso: parliamo della capacità di dare vita – in modo eccelso – a un personaggio di un altro genere rispetto a chi lo interpreta. Sarà la prima volta che qualcuno come Drusilla (ma come Drusilla, c’è solo Drusilla!) co-condurrà Sanremo, e soprattutto che lo farà giocando artisticamente coi generi e portando un punto di vista ironico e profondo sulla vita. Sarà la prima volta, e sarà ben diverso dalle dinamiche ormai stantìe – penso all’irrisione, al ricorso a personaggi macchiettistici – che la televisione ancora troppo spesso propone come le uniche accettabili.
Cosa hanno in comune questi due avvenimenti, apparentemente così lontani?
Entrambi, credo, hanno a che vedere con il diritto di ogni persona di essere se stessa e di essere, per questo, riconosciuta e rispettata. Ed entrambi, soprattutto, ci raccontano di una società che è molto più avanti della politica.
Nulla di nuovo, per me. Ricordo ancora il Sanremo “arcobaleno” del 2016, quando moltissime e moltissimi cantanti salirono sul palco del teatro Ariston indossando un nastrino arcobaleno, simbolo semplice e potente della battaglia che – in quei mesi – si stava svolgendo in Parlamento. Furono momenti indimenticabili: la voce dell’uguaglianza arrivò nelle case di tutta Italia, e questo diede una spinta fortissima, assieme alle piazze, all’approvazione della legge sulle unioni civili.
Ma ricordo anche, negli ultimi mesi e fino a quel dolorosissimo applauso in Senato, l’imponente presa di posizione di tante artiste e artisti, tra cui la stessa Drusilla Foer, per l’approvazione del d.d.l. Zan. Anche in questo caso – assieme alle piazze, alla grande mobilitazione delle associazioni – la società italiana ha formulato la sua domanda di riconoscimento, eguaglianza e giustizia in modo molto chiaro. Ma, a differenza del 2016, la politica non è riuscita ancora a dare una risposta.
Eppure, basterebbe rivolgere lo sguardo oltre le finestre dei palazzi del potere, trascorrere un po’ di tempo con le persone – giovani e meno giovani – per rendersi conto che l’Italia non solo “è pronta” (come si dice con un’espressione che non amo particolarmente) ma è “avanti” anni luce. E che è la politica, semmai, a non essere “pronta” e anzi ad arrancare di fronte al Paese e alle sue domande. Tutto questo mi colpisce particolarmente, come parlamentare ma soprattutto come persona che ha profondamente a cuore i diritti e la giustizia.
Ancora una volta, come dimostrano i Golden Globe, la scelta di Drusilla Foer – ma anche, ad esempio, il grande successo televisivo che sta avendo Drag Race Italia – è la cultura a spingere avanti le lancette dell’orologio, e a ricordare alla politica quanto ancora sia il lavoro da fare. Ed è la cultura che, attraverso corpi e storie, contribuisce a quella conoscenza che è davvero la chiave di volta per far progredire il Paese, soprattutto sull’uguaglianza e sui diritti.
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