A questo giro sei elettori su dieci non sono andati a votare. L’analisi più scontata è che “la politica è lontana dalla gente”. Ma c’è un inghippo. Leggiamo un esempio per esteso:”La politica non è più così importante. Nessuno pensa più di affidarle la vita. Pochi credono che la politica possa davvero cambiare le cose. Bezos ha più potere di Obama, Zuckerberg di Trump, Musk di Biden; o almeno questa è la percezione. Qualcuno ritiene che votare sia inutile: tanto la propria opinione la esprime sui social. (A. Cazzullo, Corriere della Sera). Il termine “politica” è qui usato come sinonimo di elezioni. Il voto è percepito come inutile, ergo la politica non è più importante. Sembra non fare una piega. Ma “politica” NON è votare un politico.
Manifestazioni, disobbedienze civili, referendum, leggi di iniziativa popolare, ricorsi giudiziari e tanto altro ancora sono “politica”, senza implicare il voto per questo o quel candidato. Siamo però ormai assuefatti, e un po’ anche lobotomizzati, costretti a subire per settimane i dibattiti della politica ufficiale: dove vanno gli scissionisti del Movimento 5 stelle? Il vertice del centrodestra quando si farà? Dov’è il confine del “campo largo”? E via discorrendo. Anche la politica dei partiti ha una sua dignità, naturalmente. Non è indifferente sapere se il Governo sopravvive e chi si alleerà con chi. Ma la distanza con i mitici “problemi che interessano alla gente” è resa siderale dall’occultamento di tutto il resto.
A rischio di passare per un ossessionato del referendum (nel quale si vota, ma non si “elegge”) mi sento di dire che il colpo più duro alla partecipazione democratica l’abbia assestato la Corte costituzionale a febbraio, impedendo i referendum su eutanasia, cannabis e responsabilità dei magistrati. I referendum avrebbero costretto i Capi della politica ufficiale a pronunciare una parola chiara su altro che se stessi, innescando un focolaio di concretezza che sarebbe stato poi difficile arginare. Il contagio avrebbe rischiato di estendersi al matrimonio egualitario, i diritti di cittadinanza, l’aborto e magari persino il lavoro e l’ambiente.
È stato dunque necessario un lockdown dell’elettorato, in stile cinese, per arginarlo, lasciando in piedi solo i referendum partitici meno sentiti. Il carico di delusione e rabbia è più devastante di quanto non si possa percepire in superficie. Se l’Italia fosse diventato il primo Paese dell’Occidente democratico a legalizzare in una botta sola eutanasia e cannabis saremmo già un posto diverso. Persino i partiti avrebbero saputo fornire qualche ragione per andare a votare la prossima volta. La storia non si fa con i “se”: va bene. Ma non si fa nemmeno con gli appelli al senso di responsabilità (?).
Conviene guardare al futuro, e il futuro si prepara innovando. Non vale solo per le aziende, ma anche per la democrazia, che in fondo è anche una tecnica per estrarre dal popolo le decisioni migliori, o meno peggiori. L’innovazione democratica non riguarda solo il ruolo dei referendum. In tutta Europa si sperimentano assemblee di cittadini, estratti a sorte sulla base di un campione rappresentativo, “costretti” a informarsi e a dialogare tra loro e con esperti per cercare soluzioni senza l’assillo di essere eletti da qualche parte.
In Italia l’idea non prende ancora piede. Noi di Eumans, il movimento paneuropeo di cittadini da me fondato di cui sono copresidente insieme a Virginia Fiume, abbiamo presentato ieri una proposta di legge con qualche sparuto Parlamentare, ma evidentemente lo shock del grillismo non è passato. Siccome il M5S diceva di volere la democrazia diretta, i referendum, la democrazia digitale, “l’uno vale uno”, allora ogni proposta che possa rischiare di assomigliare a ciò che Grillo ha predicato senza realizzare viene derubricata come populismo. Nel lockdown degli elettori scarseggiano beni di prima necessità per una democrazia, come il senso civico e l’interesse alla cosa pubblica. È tempo di aprire nuovi spazi, nuove forme di politica.