Il capolavoro di ferocia è il titolo de Il Giornale che come al solito si distingue per poraccitudine: “Il gigante buono e quell’amore non corrisposto” titola su tutti i suoi social.
Massimo Sebastiani, l’operaio 45enne che oggi ha confessato di aver ucciso Elisa Pomarelli in provincia di Piacenza è l’ennesimo caso di carnefice vittimizzato per non guardare negli occhi l’ennesimo obbrobrio di un uomo che ritiene una donna sua legittima proprietà solo per il semplice motivo di desiderarla.
Il fatto che Elisa sia stata strangolata, probabilmente per l’ennesimo rifiuto di un rapporto che andasse al di là dell’amicizia, che sia stata sepolta in una buca in mezzo al bosco e poi ricoperta di foglie per non essere trovata, che il presunto gigante buono si sia nascosto per quindici giorni vigliaccamente nei boschi e che Elisa non ci sia più sono solo particolari della storia che a certo giornalismo (e a certi opinionisti fallocentrici) paiono irrilevanti.
Come al solito, l’unico punto di vista rivenduto a piene mani è quello dell’assassino con l’umiliante oblio per la vittima. Così tutti a spremere le penne per raccontarci quanto sia doloroso essere rifiutati da una donna (come se l’evoluzione sentimentale fosse inchiodata a cent’anni fa), tutti a scrivere di “raptus” (mentre gli amici e i famigliari parlano di un’ossessione che dura da anni: il raptus più lungo nella storia della cronaca nera) e tutti a dirci che Massimiliano è un ragazzo semplice e un po’ irruento (perché scrivere “violento” chissà perché viene vissuto come orrido giudizio su tutti i maschi).
Da notare poi come simpaticamente gli stessi opinionisti che oggi scodinzolano dietro all’assassino siano gli stessi che si farebbero esplodere per un omicidio identico con un assassino dalla pelle scura. O forse la differenza sta tutta qui: sono talmente limitati nelle loro visioni e letture del mondo che ciò che conta veramente è difendere l’appartenenza a un “gruppo” in cui si riconoscono e che difendono con insolente cameratismo, come un plotone di esecuzione al contrario che uccide ancora le vittime non convenienti per la loro narrazione.
Ci sarebbe qualcosa da dire anche su quest’abitudine di coronare gli articoli con foto della coppia sorridente: lo sforzo per l’umanizzazione del carnefice del resto si coglie dai particolari.
Continuiamo pure così, insistiamo nel negare che gli assassini di casa nostra sono quelli che possiedono le chiavi di casa della vittima e che troppi media continuano a raccontare con un giustificazionismo che smentisce il solito cattivismo generale. Tanto ci sarà sempre qualcuno, per un motivo qualsiasi, che avrà il prossimo “raptus”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it