La vicenda ormai circola da qualche ora ed è arrivata più o meno all’orecchio di tutti: succede che nelle scorse ore cominciano a circolare le foto dell’inaugurazione di una scultura dedicata alla spigolatrice di Sapri, protagonista di una celebre poesia di Luigi Mercantini (e c’è da scommetterci che non l’avrà letta quasi nessuno). Per farla breve e semplice: per rappresentare una contadina dell’800 l’artista (e il comune che è il committente) hanno pensato bene di puntare sui glutei in bella vista sotto una gonna aderentissima (non propriamente l’abbigliamento da lavoro dell’epoca) e la foto delle figure istituzionali (tutti maschi, ovviamente) belli dritti e duri davanti alla statua ha fatto il resto.
Sulla sessualizzazione del corpo delle donne si discute da tempo, si registrano in continuazione casi nel campo della pubblicità e perfino in certo giornalismo. Qualcuno ha provato a fare notare che quella statua conciata così fosse piuttosto inadeguata, goffa e purtroppo in linea con una rappresentazione della donna sempre appiattita sulle sue rotondità perdendo di vista il senso patriottico che stava alla base di quella poesia che si vorrebbe rievocare. Basterebbe dire che stiamo parlando del celebre verso “eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti” che dovrebbe riecheggiare in un culo al vento con ammiccamento incorporato. Non è difficile percepire un certo stridore, no.
La dinamiche che si sviluppano ogni volta che qualcuno si permette di esprimere dubbi sulla rappresentazione delle donne sono sempre le stesse: i media (e molti loro commentatori) si accendono in modalità “oddio che palle ‘ste femministe” e si fa a gara su chi riesce a banalizzare e ridicolizzare nel modo migliore. Nessuno che prova ad ascoltare le ragioni di chi argomenta, nessuno che affronta il tema vero che non è certo la spigolatrice (tra l’altro personaggio di finzione letteraria) ma che sta nelle donne che non si riescono quasi mai a raccontare senza spogliarle, nessuno che si prende la briga di leggere il discorso più ampio di un Paese che dedica la stragrande maggioranza di statue (e strade) a uomini (vestiti), nessuno che comprende che l’argomento richiede riflessione e studio e molte delle voci che si levano sono di persone che studiano e riflettono da anni. Niente di tutto questo, niente: l’importante è ridurre tutto a un gioco di lamentose donnine che polemizzano su qualsiasi cosa.
Sulla statua della spigolatrice di Sapri ognuno la può pensare come vuole (per carità, prima che qualcuno gridi alla cancel culture) ma sminuire il tema è stupido e meschino.
Anche perché in tutto questo rimbomba la risposta dello scultore Emanuele Stifano che si difende spiegando che l’obiettivo del mettere in evidenza le forme era “rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos”. E sul fatto che la fierezza femminile, la coscienza e il pathos si leggano su una gonna incollata al culo si potrebbe aprire davvero una discussione. Oppure si potrebbe discutere del senatore del M5S Castille che se ne esce con un “chi critica la statua non conosce il corpo delle donne meridionali”.
Insomma, la statua sarà anche una questione di poco conto ma come al solito la polvere che si alza intorno lascia sempre gran perplessità.