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    Contro la minaccia nucleare, le guerre e la crisi climatica l’unica via è il disarmo (di Laura Boldrini)

    Credit: AP Photo

    In tutto il mondo ci sono ancora 12mila armi atomiche. Solo nel 2022 sono stati spesi 82,9 miliardi di dollari per questi arsenali e ben 2.240 miliardi totali per il riarmo. Ma si continua a tagliare sulla lotta alla povertà e sulla transizione ecologica

    Di Laura Boldrini
    Pubblicato il 7 Dic. 2023 alle 10:45

    Sono 26 i parlamentari, giunti da 14 Paesi diversi, che dal 27 al 29 novembre ho incontrato nel Palazzo di Vetro, sede dell’Onu a New York, in occasione della seconda Conferenza degli Stati parte del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Conferenza a cui hanno aderito 93 Stati firmatari del trattato e 35 Stati osservatori tra cui tre membri della Nato: Germania, Norvegia e Belgio. Durante i lavori l’Indonesia ha comunicato di avere ratificato il trattato. Parliamo del quarto paese al mondo per popolazione: non proprio l’ultimo degli attori sullo scenario internazionale.

    Un appuntamento, quello di New York, di straordinaria importanza a cui, però, ero l’unica parlamentare italiana e al quale il nostro governo ha scelto di non esserci, neanche come osservatore.

    Corsa agli armamenti
    Viviamo un momento in cui la corsa agli armamenti, specialmente quelli nucleari, invece che rallentare sembra accelerare.

    E pensiamo alle due guerre in corso alle porte dell’Europa e che vedono coinvolte due potenze che detengono armi nucleari: la Russia e Israele.

    La Russia ha sospeso il nuovo Trattato Start per la riduzione delle armi strategiche, seguita pochi giorni dopo da Usa e Nato. Sempre Putin ha annunciato di voler dispiegare armi nucleari in Bielorussia e ha revocato la ratifica del Trattato sul bando ai test nucleari, iniziando, subito dopo a sperimentare la risposta ad un attacco nucleare nemico.

    Sul fronte del Medio Oriente, invece, un ministro del governo Netanyahu ha addirittura proposto di sganciare una bomba atomica su Gaza.

    Questo mentre in Europa, e in particolare nel Mediterraneo, a ottobre hanno preso il via le esercitazioni Nato in caso di guerra nucleare. E in tale quadro non va omesso di segnalare la presenza di potentissime armi nucleari statunitensi nel nostro Paese, nelle basi di Aviano e Ghedi: le B61-12, molto più devastanti di quelle della generazione precedente.

    Ma la minaccia nucleare cresce di giorno in giorno in tutto il Mondo: il Pentagono ha annunciato con orgoglio, di avere avviato la ricerca per la realizzazione di una bomba ventiquattro volte più potente di quelle di Hiroshima e Nagasaki. E ancora, ricordo, la corsa alle armi nucleari di Iran, Cina e Corea del Nord.

    Nella dichiarazione finale dei parlamentari presenti a New York si leggono dati molto preoccupanti. Cito testualmente: “gli Stati che detengono armi nucleari possiedono in tutto oltre 12.000 armi nucleari e continuano ad allocare vaste risorse per la modernizzazione e l’espansione dei loro arsenali. Nel 2022, sono stati spesi 82,9 miliardi di dollari per le armi nucleari”.

    La contraddizione italiana
    Come ripeto instancabilmente: siamo seduti su una polveriera. Ma questo sembra non mettere in allerta gli Stati e i governi e l’Italia non fa eccezione. Nonostante lo scorso luglio, la Commissione Esteri della Camera abbia approvato all’unanimità (quindi, anche con i voti della maggioranza) una risoluzione a mia prima firma con la quale si impegnava il governo a valutare l’invio di un osservatore alla Conferenza sul Trattato per la proibizione delle armi nucleari, alla fine l’esecutivo ha deciso di non esserci. Una decisione comunicata, all’ultimo momento e solo in risposta a una mia interrogazione, dalla sottosegretaria agli Esteri Maria Tripodi che ha addotto motivazioni inconsistenti e contraddittorie.

    Da una parte, infatti, ha confermato l’impegno dell’Italia per il disarmo nucleare e dall’altra Tripodi ha sostenuto che, dato che ci sono Paesi come, appunto, l’Iran, la Corea del Nord e la Cina che stanno implementando i loro arsenali, “a seguito di approfondite valutazioni e consultazioni con gli alleati, il governo ha deciso di non partecipare”.

    Ricapitolando la posizione sarebbe questa: siamo per il disarmo nucleare, ma siccome altri Paesi si stanno fornendo di più armi nucleari non partecipiamo all’unico consesso in cui si parla concretamente della strada da percorrere per arrivare all’abolizione di questo tipo di armamenti. Cioè scegliamo la strada esattamente opposta a quella che il buon senso suggerirebbe.

    La consapevolezza della corsa agli armamenti nucleari non dovrebbe spingere uno Stato impegnato nel disarmo a mobilitarsi, a giocare un ruolo da protagonista quando può giocarlo, a fare tutto quanto nelle sue possibilità per fermare questa follia?

    Evidentemente per il governo Meloni, non è così. La premier sceglie di escludere l’Italia da una tematica di straordinaria importanza, decretandone l’irrilevanza. Mentre, come ho già detto, altri Stati membri della Nato hanno mandato osservatori. Non sono forse questi Paesi alleati dell’Italia? E se la logica che ha spinto il governo è quella, nata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, per cui la sola presenza di armi nucleari farebbe da deterrente ed eviterebbe nuove guerre, è sotto gli occhi di tutti quanto questa teoria si sia dimostrata fallimentare. È, anzi, un clamoroso freno al percorso per l’abolizione delle armi nucleari.

    Una dottrina fallimentare

    Lo abbiamo ribadito nel documento conclusivo dei parlamentari che hanno partecipato alla Conferenza di New York. Anche in questo caso, cito testualmente: “Denunciamo la dipendenza dalla pericolosa dottrina della deterrenza nucleare e la rinnovata enfasi sulla dimensione nucleare delle alleanze militari, che ostacola il progresso verso il disarmo nucleare, aumenta i rischi nucleari e mina gli sforzi di non proliferazione. Ci opponiamo anche con veemenza al dispiegamento di armi nucleari sul territorio di altri stati, una diretta contraddizione con gli obiettivi del Trattato di non proliferazione nucleare e una violazione dell’articolo 1 del TPNW”.

    La battaglia contro le armi nucleari e la corsa agli armamenti in generale, non è solo, se non fosse sufficiente, una questione che riguarda il perseguimento della pace e la sicurezza dei singoli stati, ma parliamo anche del benessere del pianeta e dell’umanità. Come ribadito nella dichiarazione congiunta dei parlamentari pubblicata alla fine della Conferenza di New York, le conseguenze dell’uso di armi nucleari e anche solo dei test sono devastanti per la salute di persone e animali, per l’ambiente, compromettendo la sopravvivenza delle nostre comunità.

    Ma c’è di più e riguarda il riarmo in generale. L’Advisory Board on Disarmament Matter delle Nazioni Unite, in un recente rapporto all’Assemblea generale, ha stimato in 2.24 trilioni la spesa mondiale in armi: il livello più alto mai raggiunto dalla Seconda Guerra Mondiale. Una cifra che si fa fatica perfino ad immaginare. In un mondo il cui il divario e le disuguaglianze sociali crescono sempre di più, in cui la povertà aumenta a vista d’occhio anche nei paesi più ricchi, in cui mancano investimenti seri per il contrasto alla crisi climatica, che una cifra del genere venga spesa in armi è fuori da ogni logica e sicuramente non è funzionale al mantenimento della pace.

    Come sostenitrice fin dall’inizio della campagna ICAN, che ha promosso questa Conferenza dei parlamentari, e come Coordinatrice dell’Intergruppo della Camera per il disarmo nucleare mi sono impegnata, insieme a colleghi presenti a New York, a continuare a fare pressione sui nostri governi perché ratifichino il TPNW e lavorino seriamente con gli alleati per giungere, senza esitazioni, al disarmo.

    Ma l’attività parlamentare non è sufficiente. Il TPNW è nato grazie alla passione della società civile, delle tante associazioni che hanno lavorato per anni e in tutto il Mondo alla campagna ICAN riuscendo, tra l’altro, a vincere il Premio Nobel per la Pace nel 2017.

    Ed è proprio lavorando con la società civile che dobbiamo rilanciare una nuova mobilitazione per il disarmo nucleare. Per questo, come Intergruppo, abbiamo organizzato per lunedì 11 dicembre alle ore 10.00 alla Camera dei Deputati, la proiezione del documentario “To end all war – Oppenheimer and the atomic bomb”.

    Prima della proiezione ascolteremo Francesco Forti, segretario nazionale dell’Unione scienziati per il disarmo (Uspid), Enza Pellecchia, vicepresidente del Comitato SenzAtomica e Coordinatrice della Rete Università italiane per la Pace, e Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne per la Rete Italiana Pace e Disarmo.

    Con noi ci saranno associazioni della società civile impegnate nella difesa dell’ambiente, scolaresche, attiviste e attiviste che si battono per il disarmo e contro la crisi climatica.

    C’è una generazione che si batte strenuamente per la difesa dell’ambiente dalla minaccia della crisi climatica e questo non può che passare anche dall’abolizione della armi nucleari.

    Con loro dobbiamo unire le forze per salvaguardare il Pianeta.

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