Mentre la propaganda insiste a puntare il dito alle Ong e alle presunte (mai dimostrate) correlazioni con gli scafisti ieri e oggi, il giornalista di Avvenire Nello Scavo mostra le prove della partecipazione a un incontro diplomatico con l’Italia del famigerato Bija, Abd al-Rahman al-Milad, accusato dall’Onu (e da molte testimonianze di migranti) di essere uno dei peggiori trafficanti di uomini in Libia, torturatore nei campi di prigionia, accusato dell’annegamento di decine di persona e considerato il boss nella zone di Zawyah.
Si potrebbe dire “io so e ora ho anche le prove”, tenendo conto che le collusioni tra Guardia Costiera libica e scafisti sono state documentate e sussurrate numerose volte in questi anni da inchieste dei media internazionali e nazionali (a gennaio se ne scrissi anche qui su TPI). E fu il magistrato Vella a dire che spesso gli scafisti si travestono da Guardia Costiera libica durante il giorno.
Forse sarebbe anche da discutere sulle parole del sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia, che ci tiene subito a precisare che quelle foto sono del 2017 (sotto il governo Gentiloni) e che l’Italia ha cambiato passo sull’immigrazione (cosa su cui poi si potrebbe discutere a lungo): il caso Bija dimostra chiaramente come la Libia (e le sue istituzioni) sia una terra di nessuno, dove l’illegalità affonda le sue radici fino ai piani più alti del potere, un quadro molto diverso da quello che l’attuale ministra Luciano Lamorgese continua a dipingere fingendo che la Libia possa essere un alleato nella gestione dei flussi migratori.
Ogni volta che qualche politico italiano, peggio ancora se ministro, ci tiene a ringraziare “la Guardia Costiera libica” un tanfo si alza sul Mediterraneo e si intravede l’irresponsabilità di chi vorrebbe governare un fenomeno complesso attraverso il ghigno di affaristi di quart’ordine legittimati dalla vigliaccheria politica europea.
Insistere sulla gestione migratoria come una questione di sicurezza senza tenere conto del rispetto dei diritti umani (sempre oggi Sibilia in un’intervista su Avvenire parla di “le stazioni, i parchi dove avviene lo spaccio: bisogna spostare l’asse della nostra attenzione”, tanto per chiarire la superficialità con cui viene affrontato l’argomento) significa aderire a un circuito criminale che inevitabilmente ha ricadute anche sull’Europa. E continuare indicare le Ong mentre in Libia pascolano legittimati individui come Bija è un’altra grave colpa che la storia non dimenticherà.