«Andrò a bere un bicchiere» risponde Eliot Ness, nel finale de Gli Intoccabili, al giornalista che gli chiede un commento sulla probabile fine del proibizionismo negli Stati Uniti. In effetti milioni di americani fecero lo stesso non appena Roosevelt, divenuto Presidente USA nel bel mezzo della Grande Depressione, rese nuovamente legale la produzione ed il consumo di alcolici. La fine del proibizionismo diede un colpo alla mafia americana che lucrava sulla vendita illegale di whisky e rimpinzò le casse dello Stato in un momento in cui il Roosevelt aveva bisogno di denaro per lanciare il New Deal.
Nei primi 100 giorni del suo mandato Roosevelt fece tre cose: la finì, come detto, con il proibizionismo, lanciò il Civilian Conservation Corps, ovvero un programma di lavori pubblici per impiegare le centinaia di migliaia di nuovi disoccupati nella costruzione di strade, ponti e nella piantumazione di alberi e promosse una serie di riforme per contenere la speculazione finanziaria. Il Glass-Steagall Act fu la legge con la quale vennero di fatto separate le banche commerciali da quelle d’affari per evitare che con i risparmi degli americani si conducessero rischiose operazioni speculative.
Ecco, sebbene la cosa possa stupire, credo che il governo italiano dovrebbe studiare i risultati del Nuovo Corso americano per affrontare la crisi economico-sociale scaturita dalla pandemia. Sono passati decenni dal New Deal eppure alcune ricette sono tutt’oggi attuali e questo soprattutto perché diverse problematiche non sono state risolte.
In Italia sarebbe necessario un Servizio Civile Ambientale, ovvero un programma di pubblico impiego capace di contrastare da un lato la disoccupazione giovanile e dall’altro i cambiamenti climatici. Me ne occupai alcuni mesi fa. Consegnai una proposta all’ex-ministro dell’ambiente Sergio Costa e all’ex-presidente Conte. Ma poi arrivò Cingolani con le sue teorie piuttosto contraddittorie sulla transizione ecologica. Inoltre, da anni, pezzi di società civile insistono sull’urgenza di porre un freno al predominio della finanza (strapotere dei fondi di investimento e delle merchant bank) ma è arrivato Mario Draghi, ex-dirigente di spicco di Goldman Sachs, una delle banche d’affari più potenti al mondo nonché grande amico di Larry Fink, il numero 1 di BlackRock. Anche rispetto al tema della legalizzazione, non degli alcolici ovviamente, ma della Cannabis, l’Italia – uno dei Paesi che avrebbe più bisogno di rendere legale la produzione e commercializzazione – è in leggera controtendenza. E questo sebbene sia il Paese delle quattro organizzazioni criminali (Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita) le quali temono più la legalizzazione dei sequestri di stupefacenti.
Proprio ieri TPI ha dato in esclusiva la notizia dell’ennesima vergogna dell’epoca dei migliori. Mentre nel resto d’Europa si ragiona sempre più sui benefici della legalizzazione della Cannabis, in Italia, nonostante l’enorme successo della raccolta di firme per il Referendum sulla depenalizzazione della coltivazione delle piante, si è deciso, nell’ultima conferenza Stato-Regioni, di rendere, di fatto, illegale la produzione e la vendita di cannabis a basso contenuto di Thc.
In sostanza anche la Canapa light rientrerebbe nella legge 309 del 1990, il testo unico sugli stupefacenti. Io non so come andrà a finire ma continuare a criminalizzare ciò che in tutto il mondo si comincia a liberalizzare è stupido oltre che dannatamente anacronistico.
Criminalizzare è stupido perché oggettivamente repressione e proibizioni non hanno minimamente ridotto il consumo di droghe leggere. È stupido perché mai come oggi servirebbe incrementare il gettito fiscale e creare nuovi posti di lavoro e perché per colpire le mafie bisogna sottrarre loro il business del traffico di cannabis.
L’anno scorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in una nota di commento all’emendamento in finanziaria 2021 del Deputato Sodano presentato per normare la canapa industriale nella direzione opposta rispetto alle limitazioni imposte ieri, stimava che regolamentando il settore e dando le giuste certezze agli imprenditori agricoli, si sarebbe generato un introito annuale per lo Stato come minimo di 1 miliardo di euro. L’emendamento venne bocciato.
Criminalizzare è anacronistico perché in mezzo mondo (in particolare in Europa e Stati Uniti) stanno nascendo imprese, per lo più giovanili, che si occupano della produzione e la commercializzazione di Cannabis, sia a basso che ad alto contenuto di THC, imprese che si moltiplicherebbero se, come spero, un giorno sarà possibile coltivare e vendere liberamente la Cannabis, oggi trafficata dalle organizzazioni criminali che si arricchiscono senza dover versare un centesimo nelle casse dello Stato.
15.000 persone, ripeto, per lo più giovani, potrebbero perdere il loro posto di lavoro se il Governo dovesse continuare sulla strada della ridicola criminalizzazione di tutto ciò che ruota intorno alla cannabis. Da domani, a seconda dell’interpretazione delle singole Prefetture e delle Questure, gli imprenditori del settore potranno ricevere ordini di sequestri e vedere imposti i sigilli sulle proprie coltivazioni. Non è chiaro se le aziende della light potranno basarsi o meno su un’altra legge, la 242, che permette di continuare ad operare. Quel che è certo che i “migliori” hanno solo creato caos.
Oltretutto rendere illegale la produzione dei fiori e della foglie della Canapa a basso contenuto di THC, inserendo tale sostanza nella legge 309, è semplicemente il miglior regalo che si possa fare alle case farmaceutiche. Quelle stesse case farmaceutiche in gran parte controllate da fondi di investimento e banche d’affari, quelle stesse case farmaceutiche che si sono arricchite a dismisura in questi mesi grazie ai vaccini e alla vendita privilegiata degli stessi nel nord del mondo, dove si è disposti a pagare di più che in Congo o in Burundi e dove si è deciso, ormai da anni, di non investire più nella produzione pubblica di farmaci. Farmaci, oltretutto, il cui consumo diminuirebbe se la cannabis fosse legale. Secondo uno studio della rivista scientifica Journal of Pain il 45% dei consumatori di cannabis preferisce tale sostanza ad una serie di farmaci come anti-depressivi, ansiolitici e antidolorifici. C’è chi usa la cannabis per i disturbi di ansia, chi al posto degli psicofarmaci, chi per affrontare dolori fisici.
Negli ultimi anni il consumo di psicofarmaci in occidente è esploso. Per le case farmaceutiche la cura del panico, delle ansie e della depressione è uno dei business principali. E lo sarà sempre più. D’altro canto quando la pandemia verrà debellata la proliferazione di disturbi mentali, legata anche agli anni di inferno che stiamo vivendo, sarà la gallina dalla uova d’oro per Big Pharma la quale condivide, ahimè, con politici particolarmente inclini alle lobbies o banalmente perbenisti e con parte della curia, la necessità di affrontare la questione Cannabis con paternalismo e repressione. Soprattutto repressione, perché la repressione è stata un fallimento per molti, ma, evidentemente, non per tutti.