Da alcuni giorni il dibattito sul Mes è tornato prepotentemente al centro della scena politica. La maggioranza è pericolosamente spaccata, il premier Conte nicchia e prende tempo, Zingaretti scuote la banda e scrive al Corriere della Sera, Salvini gli risponde. Lega e Fratelli d’Italia vedono la crepa nell’asse giallorosso e spingono per allargarla ancor più, ma intanto il loro alleato Forza Italia è notoriamente schierato a favore del ricorso al Meccanismo europeo di Stabilità. Poi, c’è Leu, la sinistra spaccata anche stavolta: Bersani favorevole, Fassina contrario.
Insomma, non si parla che di Mes: da qualunque punto (anzi, partito) lo si osservi, il Fondo salva-Stati sembra diventato di colpo lo spartiacque tra il bene e il male, una questione di vita o morte, il nodo principale da sciogliere in questa fase così complicata: archiviati gli Stati generali, definito il Piano Scuola, il Mes è l’argomento del momento, da cui dipende addirittura la tenuta del Governo.
Fermi tutti: forse stiamo esagerando. Forse si sta dando un peso eccessivo a un dibattito, sì, molto importante, ma non certo così decisivo per le sorti del Paese. Il Mes altro non è che un prestito, da circa 37 miliardi di euro (da capire suddiviso in quante tranche), che dobbiamo decidere se chiedere o no. L’alternativa è andare a prendere questi soldi sui mercati finanziari. Il Mes è più conveniente perché ha un tasso d’interesse più vantaggioso (lo 0,1% annuo contro l’1,8% circa di un titolo decennale): il risparmio per le casse dello Stato sarebbe di 5 miliardi di euro in 10 anni, ossia 500 milioni di euro l’anno. Bene, sapete quanto paga ogni anno l’Italia alla voce interessi sul debito? Circa 60 miliardi di euro (nel 2019, per la precisione, 60,3 miliardi).
Non ci vuole un laureato in Economia per capire che 500 milioni a fronte di 60 miliardi sono una somma ridicola. Eppure, la politica italiana è tutta concentrata – e il Governo addirittura sarebbe a rischio – perché bisogna decidere se procedere con questa operazione.
Sia chiaro: con queste osservazioni non vogliamo schierarci né a favore né contro il ricorso al Mes. Il tema qui è che stiamo scambiando una questione importante per uno snodo vitale. Provocatoriamente, potremmo dire che non stiamo parlando di 37 miliardi, ma di 500 milioni.
Fare ricorso al Mes è una scelta di campo significativa nel contesto europeo ed è normale che vi si innesti un dibattito tra le forze politiche. Ma elevare questa discussione fino a farne il problema dei problemi è forse eccessivo. Lo è, almeno, in questa fase così drammaticamente complessa.
Oggi i veri nodi irrisolti – e da sciogliere al più presto – sono altri: lotta alla burocrazia, ammortizzatori sociali, Fisco (dall’Iva all’Irpef passando per gli eco-incentivi), investimenti pubblici e sostegno a quelli privati, scuola. Per non dire dei dossier su Alitalia, Autostrade e Ilva.
L’impressione è che siamo dinnanzi all’ennesima battaglia strumentale e ideologica tra le solite due fazioni: europeisti contro euro-scettici. Finendo per perdere di vista il merito – e soprattutto il reale peso – della questione. Come diceva quella vecchia pubblicità dei divani? “Quanto ce piace chiacchierà…”.
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