Ok. Va bene. D’accordo. Però almeno abbiamo il coraggio di dircelo. Il problema dell’Italia oggi è Matteo Renzi. Il dramma di questo Paese è la scenografia della Leopolda, il rosa del nuovo simbolo di Italia Viva. Un partito che hanno definito, nell’ordine, “di destra”, “eversivo”, “dell’egolatria”, “della vendetta”, e, al tempo stesso, “marginale”, “senza futuro”, “destinato a schiantarsi”.
Nel giorno in cui in piazza San Giovanni è andata in scena la destra più estrema, xenofoba e oscurantista d’Europa, la sinistra-sinistra, quella che “non ha paura di dire qualcosa di sinistra” si è rincorsa per tutto il pomeriggio sui social evocando il grande pericolo per la democrazia italiana. Matteo Salvini, che con sconvolgente nonchalance accusa il governo di avere “le mani sporche di sangue sui migranti”? No, nient’affatto. Giorgia Meloni che accusa le ong di “usare i bambini come scudo umano”? Acqua. Un sedicente liberale come Silvio Berlusconi che si accompagna, senza il minimo imbarazzo, ai camerati di CasaPound? Figuriamoci.
Il nemico del popolo italiano, lo spettro che si aggira per il Paese – sappiatelo – è un fiorentino di nome Matteo Renzi che ha osato fare qualcosa che in Italia nessuno ti perdona mai: Politica. Quasi fosse diventata una bestemmia, qualcosa di cui vergognarsi. E allora, mentre ti aggiri tra i capannoni infiniti e stracolmi di questa ex stazione ferroviaria, non puoi fare a meno di chiederti cosa ci sia di eversivo, di anti-democratico in questa folla di giovani e meno giovani che parla di diritti delle donne, di meritocrazia, di economia verde, di equità generazionale, di competenza, di uguaglianza, di formazione.
Cosa fa davvero paura nelle migliaia di persone che, dall’alba delle sei di ieri, sono in coda davanti ai cancelli della Leopolda per assistere a un partito che nasce? Il bello della politica è che ognuno può farsi una propria idea in base alle proprie simpatie e alle proprie opinioni. Poi ci sono i fatti. E i fatti dicono che, appena due mesi fa (non anni), l’Italia era un Paese in balia di un aspirante ducetto che chiedeva “pieni poteri” e invitava i parlamentari ad “alzare il c…” e andare a lavorare.
Poi è arrivato un politico e, nel giro di tre settimane, rischiando la propria credibilità e sfidando i suoi stessi hashtag, ha mandato questa Italia imbarbarita dagli slogan e dall’odio all’opposizione. Se oggi Salvini è un senatore semplice che fatica a portare 50.000 persone in piazza, non tocca più palla su immigrazione, economia, pensioni, giustizia non è per la provvidenza dello Spirito santo ma per l’abilità – la spregiudicatezza, perché no – di un altro senatore semplice che ha dimostrato che si può essere leader naturali senza ruoli, incarichi, né segreterie.
Si chiama Politica. Con la P maiuscola. Ed è qualcosa che non trovi sotto gli alberi. O ce l’hai o non ce l’hai. Piaccia o meno, non esiste in questo momento un animale politico più scaltro, visionario, carismatico di Matteo Renzi. Eppure oggi in Italia, per una fetta non trascurabile di opinione pubblica il nemico è lui. Lui l’avversario. Lui la spina nel fianco del governo.
In un dibattito a tratti surreale, Renzi è rimasto l’unico nel fronte di maggioranza a parlare di Salvini, mentre Pd, 5 Stelle, Conte e quel che resta di LeU fanno a gara per chi è più antirenziano tra gli antirenziani, in quella mai sopita tendenza al suicidio preventivo che a sinistra e dintorni non è mai venuta meno. Con l’unico, inevitabile, risultato di fare un doppio favore: a Salvini, che ride e se la gode; e a Renzi stesso, mai così forte mediaticamente e sulla cresta dell’onda dal 4 dicembre 2016.
Il popolo della Leopolda ha parlato. E ha detto che quell’altra strada a lungo evocata negli ultimi mesi, e che a un certo punto sembrava essere diventata un vicolo cieco, non solo esiste, ma è più larga, affollata e trasversale di quanto chiunque – in primis Renzi stesso – avrebbe mai immaginato. Ed è persino difficile capire dove finiscono i suoi innegabili meriti e dove comincia il gentile omaggio dei suoi “acerrimi alleati”.