Quando Lilli Gruber gli chiede perché secondo lui Matteo Renzi faccia quello che sta facendo, Pierluigi Bersani risponde: “Perché Renzi fa il Renzi”. Questo inappellabile tautologismo del bersanese, a ben vedere, in queste ore confuse è illuminante.
Non è una battuta, ma l’unica spiegazione possibile al coro di domande che affolla i giornali di oggi e la politica: solo così si riesce a dare un senso alla strategia del ricatto, del tira e molla, della mediatizzazione esasperata, la pervicace tentazione di far cadere il governo, la continua ricerca di inciucio con la destra.
Tutte queste manovre, ormai, non hanno più altre spiegazioni razionali, e disegnano una forma curiosa di autolesionismo aggressivo. Perché oltre il politicismo, oltre la tattica, oltre la spregiudicatezza e l’azzardo – che sono la sua cifra identitaria da sempre – Renzi fa il Renzi.
Cioè è prigioniero di se stesso, del suo carattere, della sua frustrazione da sovrano decaduto, delle sue ossessioni narcisistiche, e persino della propria cupidigia. La verità è che Matteo Renzi non azzecca più una mossa dal 2014: la perdita del potere che aveva accumulato, la fine della enorme rendita che gli assicurava il controllo di un grande partito lo ha definitivamente nanificato.
Renzi ha scambiato l’effetto del risultato: non era lui a fare grande il Pd, ma il Pd che lo trasfigurava rispetto alla sua naturale dimensione da agitatore dell’entroterra toscano. Il suo è il vorrei-ma-non-posso di un partito che ha ambizioni simili a quelle di un novello De Gaulle, e dimensioni simili a quelle della mitica Udeur di Clemente Mastella (ma senza la sagacia di un Clemente Mastella).
Poi c’è l’inquietudine, l’ansia esistenziale. Il Matteo Renzi di oggi è uno che mentre in Italia mandava il suo esercito allo sbaraglio, se ne stava a fare foto posate sull’Himalaya, per intascare un generoso gettone da conferenziere delle piste da sci.
Uno che dice “stacco la spina” e la sera stessa scrive nella chat dei suoi parlamentari spaventati: “Tranquilli il governo non cade”. Uno che dice di voler fare “come Macron con i socialisti”, e si ritrova, suo malgrado, inesorabilmente Micron. Non ci fosse di mezzo il destino un paese potrebbe persino ispirare tenerezza.
Renzi ha bisogno dei media, infatti, ma come un tossicodipendente in cerca della dose quotidiana. Ha bisogno di ricattare il governo, infatti, ma solo per sentire di avere ancora in mano il potere che ha irrimediabilmente perso.
Cerca l’abbraccio con la destra, ovviamente, ma sa che se si butta con questa capriola scomposta tra le braccia di Matteo Salvini persino la sua raccogliticcia pattuglia di parlamentari non riesce a seguirlo nella sua torsione scilipotiana.
Tant’è vero che il leader della Lega ieri gli ha posto l’ultimatum: o fa cadere il governo davvero, oppure non c’è spazio per nessun accordo. Quanto alle riforme, al sindaco d’Italia e alle supercazzole varie che ogni giorno Matteo Renzi si inventa per fare titolo: come sarebbe bello poter andare ad un altro referendum costituzionale – materia in cui l’ex premier è esperto – dove abbiamo già la certezza di come voteranno gli elettori. Ovvero l’esatto contrario di quello che vuole lui.
Riempire le pagine dei giornali appaga il bisogno di sentirsi vivo dell’uomo di Rignano, ma il tema è questo: a furia di logorare il governo, il governo – come ha consigliato Goffredo Bettini – sarà costretto a sostituire Italia viva per emanciparsi dal ricatto.
E una volta che la sua pistola da azionista di maggioranza inquieto si rivelasse scarica, Renzi avrà un unica spazio dove sfogare le sue pulsioni: il centrodestra. È già così: l’unico luogo in cui il capitano di ventura senza più truppe può approdare e ritagliarsi uno spazietto è Forza Italia.
Avevamo raccontato per primi, la settimana scorsa, dei suoi tentativi sottotraccia, e della sportellata in faccia ricevuta con il veto della Meloni: “Mai con lui, nemmeno un caffè”.
Ieri, mentre da Forza Italia arrivavano timide aperture, Salvini rivelava il suo dubbio. Gli farebbe comodo uno che facesse cadere il governo e gli facesse il lavoro sporco, dopo la sconfitta in Emilia Romagna: ma la Meloni ha ragione quando spiega che per gli elettori di centrodestra Renzi è un appestato.
E qui c’è il paradosso finale: tutti i sondaggi danno il suo partito in calo. Da qualsiasi livello parta, a seconda che lo diano al 3% o al 4%, Italia viva perde consensi. E il motivo è semplice: il confine entro cui gli elettori lo possono seguire è quello del centrosinistra: quando quegli elettori – anche moderati – capiscono che cerca spazio per una operazione trasformista lo abbandonano.
Quando gli elettori del centrodestra fiutano l’operazione gattopardistica lo schifano. Quando i suoi alleati capiscono che il logoroamento nasconde una vocazione da chiagne-e-fotti, con cui Renzi pensa che tirando la corda in ogni caso ha un piano B con cui acchiappa qualche poltrona al tavolo delle nomine, gli fanno il vuoto intorno.
Ma pur sapendo tutto questo l’uomo di Rignano non può fare a meno di fare ciò che dice Bersani: Renzi fa Renzi. Ed è sempre inseguito da un terribile nemico, che lo tallona ovunque vada. Un nemico incentivo, pericolo, senza freni e senza scrupoli: se stesso.
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