Mattarella e Papa Francesco: due padri in un Paese che si sente orfano
La fragilità, la solitudine, l’assenza, il tormento che circonda una piazza San Pietro drammaticamente vuota, un palazzo del Quirinale immerso nel silenzio di una città dolente, due discorsi diversi ma legati da un unico filo che, per fortuna, in questa fase tremenda, si è ulteriormente rafforzato. Papa Francesco e il presidente Mattarella, uniti da una comunità di destino, sono i due padri di un Paese che si sente orfano. Un Paese in cui si comincia ad aver paura per il dopo perché un dopo, inevitabilmente, ci sarà e sarà caratterizzato da lacrime e sangue.
Un Paese in cui si comincia a sentir parlare di assalti ai supermercati e aleggia lo spettro della criminalità organizzata, maestra nel fomentare la rabbia sociale per poi approfittarne. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi a proposito della rivolta scoppiata nelle carceri, con il sospetto di alcuni osservatori che si sia trattato di una sommossa organizzata dall’esterno. Lo vediamo ogni giorno, in particolare al Sud, nell’area più fragile di una Nazione in ginocchio, tanto che il ministro Provenzano si è assunto la responsabilità di dichiarare che bisogna farsi carico anche di chi lavora in nero e che bisogna tener presente il rischio che, specie in alcune regioni, siano per l’appunto le mafie ad approfittare della disperazione diffusa. Posizioni atroci, possiamo solo immaginare quanto sia costato a Provenzano pronunciare determinate parole, ma al tempo stesso sagge ed emblematiche di uno spessore politico non comune.
Due uomini anziani, provati da esistenze nelle quali hanno dovuto fare i conti, rispettivamente, con la dittatura videliana e con l’assassinio di un fratello adorato ad opera della mafia, in una remota domenica di gennaio che ha mutato il corso delle vicende siciliane e nazionali. Due persone dotate di una rara e straordinaria umanità, come dimostra il fuorionda di Mattarella che si rammarica per i capelli fuori posto facendo presente al suo più stretto collaboratore che neanche lui ha potuto usufruire del barbiere.
Un Papa stanco, provato eppure combattivo come non mai, sotto la pioggia battente che rende il tutto ancora più triste. Francesco ha attraversato piazza San Pietro raccolto in preghiera, alle sue spalle il crocifisso prelevato dalla chiesa di San Marcello al Corso, lo stesso che era stato portato in processione nel 1522 con la speranza, poi rivelatasi ben riposta, di riuscire a fermare una devastante pestilenza. Un uomo, prim’ancora che un pontefice, in una dimensione mutata che, per forza di cose, ha ridotto ulteriormente le distanze fra gli esseri umani. Stanno a casa tutti: personaggi famosi e poveri cristi, anche se la crisi non ha affatto le stesse conseguenze per le varie fasce sociali. C’è, infatti, chi può continuare a lavorare comodamente seduto dietro la scrivania e chi un lavoro l’ha perso e non sa se lo ritroverà quando potremo finalmente tornare a un minimo di normalità. Francesco lo sa e si è rivolto innanzitutto a loro, dopo aver ringraziato a dovere quei poveri cristi che ogni giorno si dannano l’anima per fornirci servizi essenziali di cui solo ora comprendiamo davvero l’importanza.
Due padri, Francesco e Mattarella, che hanno parlato a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, nel tentativo, speriamo efficace, di tenere alto il morale di un popolo in difficoltà, con l’auspicio di infondere fiducia e di consentire a tutti di immaginare scenari futuri. Due punti di riferimento in un buio istituzionale che la crisi ha reso ancor più tenebroso, sullo sfondo di città lugubri, strade e piazze deserte, destini incerti, rapporti umani che saltano e sogni che si spezzano. L’Italia del 2020 è un paese chiuso, spettrale, inesistente, in attesa; un paese che consuma quotidianamente il proprio rito di morte alle ore 18, quando Borrelli legge il bollettino di guerra e a molti di noi tornano in mente i racconti dei nonni relativi al Colonnello Buonasera che parlava dai microfoni di Radio Londra.
Un’Italia in guerra, perché di guerra si tratta, senza politica, senza esempi, senza un’ancora cui aggrapparsi, una “nave sanza nocchiere in gran tempesta” in cui Conte fa quel che può e il governo rivela tutta la propria eterogeneità ma, al contempo, una resilienza che fa ben sperare per il domani. In mezzo ci sono loro, soli ma memorabili: un Papa venuto dalla fine del mondo e un Presidente della Repubblica che ha cominciato a far politica per non darla vinta al destino. Due uomini, Francesco e Mattarella, che nell’ora più buia non hanno esitato a mostrare le proprie debolezze. Per questo hanno conquistato tutti, con la forza dirompente della propria semplicità nel momento in cui ogni artificio retorico è del tutto fuori luogo.
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