«Ma esattamente: cosa significa che Draghi non ce lo meritiamo? Perché ci meritiamo la povertà, la precarietà, la guerra, la vita di stenti, l’ingiustizia sociale? Io… boh».
Nel pieno della crisi politica che si è conclusa con la caduta del governo Draghi, a un certo punto sui social e sui giornali si è diffusa la frase: Draghi non ce lo meritiamo. Noi popolo becero che vota male, non ci meritiamo il presidente del Consiglio della seconda Repubblica più amato dalle élite. Sono tanti i colleghi (non vorrei si offendessero se mi/li definisco così) che in preda a una crisi di nervi per la sua caduta, hanno detto questo.
E non solo giornalisti. Sul sito della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), è ancora consultabile l’appello da loro condiviso dal titolo: «Caro Presidente Draghi, l’università ha bisogno di lei». Gettano il cuore oltre l’ostacolo, avventurandosi addirittura nell’ipotizzare il sentimento più profondo degli studenti «la voce più debole», cioè quella «delle tante ragazze e dei tanti ragazzi che, dalle aule universitarie, vivono questa ennesima vicenda con rassegnazione. Non li sentirà, probabilmente non li vedrà scendere in piazza. Non perché non abbiano un’opinione a riguardo, ma perché ipotizzo non abbiano né la voglia né l’interesse di assecondare i giochi della politica».
Io ancora oggi non mi capacito. Ma quella terzietà tanto invocata contro il giornalismo partigiano (il mio non c’è dubbio! E ne vado fiera) che fine fa quando di mezzo non c’è l’ambiente, l’inquinamento o i fenomeni sociali, ma il presidente del Consiglio più amato dalle élite? Trasversalmente aggiungerei. Così, ho condiviso il mio stupore per la frase «Draghi non ce lo meritiamo» e in poche ore sotto il mio post Facebook decine di commenti sdegnati annunciavano che avrebbero abbandonato la mia pagina. «Valentina da te non me l’aspettavo». «Ci ha salvati dal disastro sicuro e i presuntuosi continuano con l’arroganza di sempre! Tu non lo meriti», «Forse significa che ci meritiamo l’orribile destra che vincerà alle prossime elezioni?», «E Conte te lo meriti tu!». E così dopo esser stata a fasi alterne del Pd, della sinistra radicale, ambientalista, filo putiniana (Marco Minniti mi disse persino che sostenevo Salvini solo perché gli ricordai che lui aveva aperto la guerra alle Ong che salvavano vite nel Mediterraneo), eccomi all’ultima etichetta: filo contiana. No, semplicemente indipendente grazie. Pascolo nelle praterie sconfinate a sinistra.
Draghi è un’eccellenza italiana nel mondo. E questo non si discute. E magari a capo di un governo politico nel pieno dei suoi poteri, senza dover faticare per tenere insieme un’accozzaglia di partiti, la sua storia di presidente del Consiglio avrebbe avuto un finale differente. Non è Mario Draghi il problema. Anzi. Ma la democrazia rappresentativa però non può piacerci solo quando gli eletti sono quelli della nostra parte politica, cioè i prescelti dalle élite. Dunque, cosa intendevo scrivendo: «Ma esattamente: cosa significa che Draghi non ce lo meritiamo? Perché ci meritiamo la povertà, la precarietà, la guerra, la vita di stenti, l’ingiustizia sociale? Io… boh». Semplice.
Non abbiamo scelto noi, soprattutto le generazioni più giovani, di vivere in un Paese affossato dai debiti, impantanato nella burocrazia, bloccato dall’aumento delle disuguaglianze, condannato dalla crisi climatica. Non abbiamo scelto noi di affogare nella precarietà, di essere destinati a una vecchiaia infame senza un paracadute pensionistico. Non siamo stati noi a far cadere i governi, a bloccare le riforme più innovative, a legarci mani e piedi al gas di Putin. Non siamo stati noi a rendere zoppicante il nostro sistema elettivo. Non ci meritiamo questa Italia, eppure la subiamo. «Valentina, il governo Draghi in un anno, e con una coalizione di emergenza, poteva sconfiggere la precarietà, la povertà?». E no, certo. C’è, però – sempre guarda caso –, una crisi di governo a cui addossare la colpa di non aver varato le riforme più urgenti contro lo sfruttamento, come il salario minimo o altri provvedimenti sociali strutturali in favore degli oltre quattro milioni di italiani che vivono con meno di mille euro al mese. Il problema non è Draghi ma è questa affezione – anche giornalistica – verso un uomo solo, salvifico e in grado di fare tutto, con dei super poteri.
E non vale dire: i peggiori li abbiamo sempre votati noi però. Chi ha continuato ad andare alle urne, a fasi alterne, ha espresso ogni volta un voto diverso, sperando di innescare un cambiamento. Così è andata alle ultime politiche con la vittoria del M5s. Chi li ha votati (io no! Ma credo che gli attacchi al reddito di cittadinanza siano indecenti) sperava in un cambiamento. E poi si è ritrovato però anche i Barillari o i Cunial e altri campioni del negazionismo scientifico. E non solo nel M5s: dimentichiamo forse il convegno dei negazionisti organizzato al Senato dall’esponente del Carroccio, Armando Siri, alla presenza di molti altri, compreso Matteo Salvini?
Non ci meritiamo la composizione precisa di questo Parlamento e nemmeno del prossimo, perché non eleggiamo noi i singoli parlamentari. Questo perché nel proporzionale le liste sono bloccate senza possibilità di esprimere preferenze mentre per i seggi con collegio uninominale non è garantito agli elettori il voto disgiunto. Insomma, siamo noi a non meritare tutto questo. Non mi pare di aver letto: non vi meritate l’Italia, gli italiani e i loro sacrifici.
Il problema non è Draghi, il problema sono le élite: «frazione numericamente ristretta di persone che concentra nelle proprie mani la maggior quantità di risorse esistenti – ricchezza, potere e onori – e s’impone alla quasi totalità della popolazione». Per dirla con Max Weber, «la superiorità del piccolo numero». Fino ad arrivare alla descrizione che Zygmunt Bauman fa della frattura tra le élite politiche e la moltitudine, la massa.
Un universo destrutturato, precario, privo di riferimenti stabili. Dominato da angoscia, fragilità, disuguaglianze e povertà crescenti, diritti umani calpestati.
(…) Quando si parla di diritti, c’era un’espressione: «Ci sono momenti in cui i diritti sono un lusso». E rispetto a quello che sta accadendo, questa era ancora un’espressione, tutto sommato, non dico accettabile, ma che non era così radicalmente preclusiva della tutela dei diritti, perché quando si dice: «Oggi è un lusso», si spera o si sperava (…) che migliorando le condizioni anche i diritti sarebbero ritornati alla ribalta. Oggi siamo in una situazione diversa, in cui i diritti non sono più considerati lusso o non lusso, ma se ne misura la compatibilità con la logica dell’economia.
Era il 2013, così parlava Stefano Rodotà. Ecco, noi possiamo far finta che tutto ciò non sia noto e stranoto, che il problema siano gli elettori e come votano e non il sistema. Ma la distruzione del sistema della rappresentanza democratica è sotto i nostri occhi da tempo. È un problema serio e concreto. Vota un italiano su due. A ogni tornata elettorale si sprecano i titoli sulle periferie che disertano le urne. Eppure non cambia mai niente. Questa ennesima, estenuante, deludente campagna elettorale è iniziata all’insegna del nulla: altezza, colore degli occhi, preferibilmente da tigre, dio, patria e famiglia (lotta senza sconti a genitore 1 e 2), barbe tagliate per mantenere promesse fatte ad amici, nani, ballerine, alberi e Dudù.
Fiumi di parole sulle alleanze, campo largo, campo corto, vengo anch’io, no tu no! Che spettacolo indecente. E questo ce lo meritiamo? Perché non ci rifiutiamo di pubblicare lunghe interviste ai leader se non pronunciano parole chiare sui programmi? Sì o no al salario minimo? Sì o no alla cittadinanza? Sì o no alla cannabis legale? L’eutanasia? L’inasprimento delle norme per chi inquina? La semplificazione delle tipologie contrattuali? L’obbligo per la ditta appaltante di rispettare i contratti collettivi nazionali? Solo rinnovabili, stop ai combustibili fossili. E poi: la cambiate o no la legge elettorale? Restituite o no il diritto ai cittadini di scegliere i parlamentari da eleggere? L’“Agenda Draghi” è un feticcio per pochi intimi. Delle alleanze a noi che non siamo élite non ce ne frega una mazza. Parlate di programmi, prendete impegni, alle alleanze ci penserete dopo.
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