Manovra economica, il Governo gioca in difesa (per paura di Salvini)
Il Governo Conte bis ha varato la Nota di aggiornamento al Def 2019, tracciando le linee guida per la Legge di Bilancio 2020. La prima manovra economica giallorossa è imperniata su taglio del cuneo fiscale, lotta all’evasione e soprattutto stop all’aumento dell’Iva. Il documento approvato dal Consiglio dei ministri rivela molto della fase politica attuale. Da un lato, ci fornisce importanti indizi su quale sia stata la vera ragione dello strappo di Salvini con il M5S che ha portato alla crisi del Governo Conte 1. Dall’altro, ci chiarisce quali sono le priorità politiche del nuovo esecutivo in questa sua fase iniziale.
I soldi in cassa scarseggiano e quasi tutti di quei pochi che ci sono saranno utilizzati per scongiurare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. Questo punto probabilmente era già ben chiaro a Salvini quando ad agosto ha deciso di far saltare il governo di cui lui stesso era ormai padrone. Il leader della Lega sapeva che, rimanendo al potere, lo avrebbe atteso un autunno complicato. La rivoluzione fiscale che invocava – e che invoca tutt’ora dai banchi dell’opposizione – non sta finanziariamente in piedi.
Secondo una simulazione fatta lo scorso febbraio dal Ministero dell’Economia, la flat tax fatta come la vorrebbe il Carroccio costerebbe 59,3 miliardi di euro. Secondo l’Osservatorio Conti Pubblici diretto da Carlo Cotterebbe, l’impatto sarebbe di 57 miliardi. Cifre oggettivamente insostenibili per il bilancio pubblico italiano. Salvini, da parte sua, insiste nel dire che nella prima fase sarebbe bastato uno stanziamento da 15 miliardi. Se a questa cifra, però, sommiamo, come minimo, i 23 miliardi per la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, il risultato è un rapporto deficit/Pil ben oltre il 3 per cento, soglia massima fissata dall’Unione europea.
Difficile che Conte, Tria e il M5S sarebbero stati d’accordo. Ancor più difficile pensare che la Commissione Ue sarebbe stata incline ad accordare 30 miliardi di flessibilità all’Italia salviniana. Si può discutere se, in questo ipotetico braccio di ferro, Bruxelles sarebbe in ragione o in torto, ma è praticamente certo che Salvini, da vicepremier del governo gialloverde, alla fine avrebbe dovuto rinunciare al suo progetto.
Il leader leghista lo ha capito per tempo, e probabilmente non ha avuto più dubbi dopo l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue (con il voto anche dei suoi alleati Cinque Stelle). È verosimilmente per questo che il Capitano ha deciso di far cadere il suo governo. In caso di elezioni anticipate, avrebbe capitalizzato il suo consenso e sarebbe potuto andare a trattare con l’Ue da premier di un esecutivo monocolore euro-scettico (Lega + Fratelli d’Italia). In caso contrario, avrebbe lasciato la patata bollente dei conti pubblici in mano ad altri. E così poi è stato.
Il Governo Conte bis, a meno di un mese dal suo insediamento, ha dovuto metter mano alla calcolatrice. Entro il 30 settembre andava approvata la Nota di aggiornamento al Def. E soprattutto andavano trovati 23 miliardi di euro per scongiurare l’aumento dell’Iva. Missione compiuta, almeno sembra. Ma fare politica economica è un’altra cosa.
La grande priorità dell’asse M5S-Pd-Italia Viva-Leu, in questo momento, è evitare di aumentare le tasse senza irritare Bruxelles. E così ne è venuta fuori una bozza di manovra che, a dispetto di qualche proclama, è impostata tutta sulla difensiva.
La Nota di aggiornamento al Def è incentrata tutta, o quasi, sull’intervento volto a disinnescare le clausole di salvaguardia. Per il resto, l’unico slancio consiste in uno stanziamento da 2,5 miliardi per avviare il taglio del cuneo fiscale, mentre altri 3/4 miliardi serviranno per rifinanziare Quota 100, reddito di cittadinanza e il piano Industria 4.0.
Dove si pensa di trovare le coperture? Detto che si prevede di fare un deficit di 15 miliardi (con il beneplacito della Commissione, dove ora siede anche l'”amico” Paolo Gentiloni), il piano si poggia principalmente sui 2 miliardi che dovrebbero arrivare da una spending review, altri 2 miliardi dalle tasse “green” e ben 7 miliardi dalla lotta all’evasione fiscale. La lotta all’evasione fiscale da anni viene utilizzata dai vari governi che si succedono come voce a cui ascrivere entrate di cui c’è bisogno ma su cui non vi è alcuna certezza.
Non è dato sapere come sia stata calcolata esattamente quella stima, 7 miliardi. Ma sulla sua fondatezza resta più di qualche dubbio. Domenica 29 settembre il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha parlato di “rimodulazione selettiva” dell’Iva. Il ministro in quel momento sapeva che i 23 miliardi di cui c’era bisogno non c’erano tutti. E così ha spiegato che il Governo stava pensando di aumentare l’imposta sul valore aggiunto per un elenco ristretto di beni, in modo da poter evitare il rialzo per tutti gli altri. È bastato che Di Maio e Renzi alzassero la voce, però, per ritirare tutto: “I 23 miliardi ci sono, li abbiamo trovati”. E 7, dice ora Gualtieri, deriveranno dalla lotta all’evasione fiscale. Vedremo.
Tutto vale, comunque, pur di scrivere che non si aumenterà di una virgola l’Iva. Ed è anche comprensibile, per certi versi. In questa fase il Governo Conte bis ha come primo obiettivo quello di non lasciare il fianco scoperto agli attacchi di Salvini, che avrebbe gioco facile nel gridare contro chi alza le tasse. Le elezioni regionali sono alle porte e non è il momento di provvedimenti impopolari. Dall’altra parte, poi, c’è una Commissione europea da non irritare: il deficit va contenuto, altrimenti a Bruxelles si arrabbiano. Ed è così che anche quest’anno di investimenti pubblici se ne riparla il prossimo anno.