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    Lo scacco matto dei liberisti che ha ucciso la classe media

    Di Alexander Stille
    Pubblicato il 6 Feb. 2022 alle 15:56 Aggiornato il 6 Feb. 2022 alle 15:58

    Nel 2021 i prezzi della carne bovina sono lievitati del 40% e quelli di maiale e pollo in media del 13%, negli Stati Uniti. Eppure, molti allevatori di bestiame rischiano di fallire. Quarant’anni fa un allevatore guadagnava sul manzo 50 centesimi per ogni dollaro pagato dal cliente. Oggi ne incassa solo 37: un calo del 26%, con il risultato che 544mila aziende sono scomparse.

    Ma, se i soldi non finiscono agli allevatori, perché i prezzi vanno alle stelle? Semplice: i profitti delle quattro più grandi aziende di confezionamento della carne sono aumentati di circa il 300% durante la pandemia, secondo le statistiche governative.

    A partire dagli anni Ottanta, con Ronald Reagan presidente, gli Stati Uniti hanno abbracciato la deregulation, non opponendosi alle fusioni di società. Si è scelto l’approccio di un noto studioso di giurisprudenza conservatore, Robert Bork, che insisteva sul fatto che il Governo non dovrebbe ostacolare le concentrazioni di mercato in mano a pochi soggetti, se i consumatori non ne sono danneggiati. In altre parole, un monopolio o un quasi monopolio non è un problema, se mantiene bassi i prezzi per i consumatori.

    Nell’industria della carne, le quattro più grandi aziende di confezionamento della bovina hanno così iniziato ad acquistare i loro concorrenti più piccoli e sono passate dal controllare il 25% del mercato nel 1977 all’82% di oggi (concentrazioni simili, sebbene meno drastiche, si sono verificate per pollo e maiale).

    Il prezzo della carne bovina è rimasto basso o addirittura sceso. E i liberali americani – durante le amministrazioni democratiche di Bill Clinton e Barack Obama – non hanno rovesciato il trend, convinti che la carne a basso costo avrebbe contribuito a ridurre la povertà. In realtà, la carne a buon mercato si è rivelata un costo sociale molto alto.

    Con un potere quasi monopolistico, le grandi aziende di confezionamento della carne hanno potuto dettare le regole agli allevatori, riducendo il loro margine di profitto o portandoli addirittura alla chiusura, trascinando con sé centinaia di migliaia di posti di lavoro. Allo stesso tempo la paga base di un addetto al confezionamento della carne è scesa: nel 1982 era quasi 11 dollari all’ora, pari a circa 29 dollari del 2020; oggi è 15 dollari.

    Una diminuzione quasi del 50%. Quello che una volta era un lavoro relativamente ben pagato, che permetteva una vita dignitosa, è diventato un lavoro mal pagato e pericoloso, per lo più svolto da immigrati ispanici appena arrivati. L’industria della carne bovina è un microcosmo dell’economia americana degli ultimi quarant’anni: i più ricchi sono stati incoraggiati ad arricchirsi in qualsiasi modo in nome del libero mercato. E questo ha portato allo svuotamento della classe media e all’impoverimento della classe operaia.

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