Sorte vuole che a due anni esatti da quel 23 dicembre 2020 in cui Matteo Renzi incontrò lo 007 Marco Mancini in autogrill, The Post Internazionale sia oggi in grado di rivelare una serie di fatti e circostanze di importanza cruciale che aiutano a fare chiarezza sulla dinamica di quella giornata ancora, in parte, avvolta dal mistero.
Da quando Report ha fatto lo scoop pubblicando l’immagine parziale che ritraeva l’ex premier a colloquio con un ex dirigente dei servizi segreti, infatti, Renzi ha prima messo in dubbio e poi ridicolizzato la versione della professoressa che ha realizzato quelle foto (e le ha poi fornite alla redazione del programma tv). Così l’attenzione, nonché il capo d’imputazione, si sono presto spostati sull’autrice delle immagini e sull’opportunità o meno che realizzasse quelle foto.
Oggi, finalmente, sappiamo qualcosa in più: la sequenza delle 13 preziose fotografie (sinora inedite) che per la prima volta TPI rende note nella loro originalità e interezza, senza modifica alcuna, (qui ne trovate tre, per vederle tutte acquista il settimanale di TPI in edicola o in formato digitale sull’app di TPI) ci aiuta anzitutto a capire che a scattare quelle immagini è stata un’unica fotocamera, e non più d’una, come Renzi insinua; in secondo luogo queste foto provano che sono state scattate dall’interno di un’automobile di proprietà privata che abbiamo verificato appartenere alla professoressa di storia dell’arte.
All’esito di una rigorosa inchiesta giornalistica possiamo confermare le conclusioni a cui, di fatto, è pervenuta prima di noi la stessa autorità giudiziaria. E cioè che la professoressa che ha realizzato quelle immagini è del tutto estranea ai servizi segreti (diversamente da quello che l’ex premier vuol fare intendere) e anche che si trovava casualmente in quel luogo, ovvero l’autogrill.
La verità che è questa cittadina comune ha compiuto un atto di straordinario valore civico, contribuendo a uno scoop di evidente interesse pubblico, riguardante due uomini pubblici che si sono incontrati in un luogo pubblico. Per questo la donna è da mesi oggetto di attacchi quotidiani da parte del senatore di Rignano.
E la questione non è affatto legata alle cose che dice Renzi, ai depistaggi presunti, ma riguarda tutti noi, la nostra democrazia. Il tema è come nel nostro Paese vengono tutelate le fonti giornalistiche che sono la principale risorsa della stampa, che è rimane il cane da guardia del potere. Così, almeno, dovrebbe funzionare.
Di più: questa vicenda riguarda tutti noi perché ha a che fare con il modo in cui un uomo potente ha messo alla berlina e schernito una donna, una madre, un’insegnante. Ha a che fare con un ex premier che si permette di ironizzare senza alcuna sensibilità sulla terribile malattia che affligge il padre della professoressa.
Un senatore della Repubblica che, a conti fatti, si è rifiutato di incontrare questa donna la quale da subito si è resa disponibile a un dialogo aperto, trincerandosi dietro una nuvola di potere con il solo scopo di delegittimare una persona perbene e di deviare l’attenzione dai contenuti tuttora ignoti di quell’incontro pubblico.
Un leader di partito che se la prende con chiunque parli di questa storia brandendo la clava delle querele e delle cause civili, nonché delle minacce di reclusione fino a 24 anni.
Chi agisce così sa che può farlo perché la stampa nel nostro Paese è fragile. Ed è in questa palude che sguazzano gli squali della politica.
Questo caso è destinato forse a orientare la cultura giuridica e politica in Italia. La vicenda mette a repentaglio la tutela delle fonti giornalistiche e il diritto di ciascuno a essere informato su fatti di interesse collettivo. Da oggi in poi ogni persona che voglia condividere una notizia con gli organi di stampa ci penserà non due ma cento volte, prima di farlo. E questo fa male a tutti.
Nell’Italia dei falsi miti e dei falsi eroi dobbiamo far tesoro della lezione di etica civile che ci viene impartita dal grigio parcheggio di un autogrill da questa coraggiosa professoressa.