Leopolda 2019: tutte le parole
Donna e futuro: sono la prima e l’ultima parola della carta dei valori di Italia Viva. Perché questa decima edizione della Leopolda è un debutto e uno spartiacque tra il prima e il dopo. I giovani della Leopolda, quel cerchio magico fiorentino, oggi è classe dirigente e ha scalato in questi dieci anni le istituzioni, partendo da Palazzo Vecchio arrivando a Palazzo Chigi.
Oggi si riparte con l’orizzonte del 2029. Una visione lunga che si opponga all’immediatezza della paura dettata dal populismo. Dieci anni per scalare ancora, per provare ad immaginare un movimento che sia una casa nuova, Italia Viva, che si lasci alle spalle non senza polemiche quella che è stata l’esperienza dentro al Pd. Un Pd che con i suoi riti da vecchio partito è diventato troppo stretto come questa stazione Leopolda che si è dimostrata troppo stretta per contenere questo entusiasmo. Una sorpresa anche per Renzi che si è lasciato sfuggire: “Qualche anno fa se ci avessero detto che la Leopolda sarebbe diventata troppo piccola, avremmo chiamato l’ambulanza”.
Un partito nuovo che ha bisogno di costituirsi con delle regole, presentarsi al pubblico, cercando di scrollarsi di dosso il luogo comune che si tratti solo del Partito di Renzi. Così gli interventi che si sono succeduti sul palco in questi tre giorni di kermesse hanno avuto il compito di distribuire su un piano collegiale la visione di questo 2029 che verrà, anche se poi il vox populi della platea mostra che lo sguardo è tutto rivolto a lui, il resto è solo contorno.
Persino Ettore Rosato con un mirabolante giro di parole ha scaldato la platea in un fragoroso applauso quando dal palco ha affermato che “noi non siamo il partito del leader, ma con un leader. E sapete a chi dà fastidio il leader? A chi non ce l’ha!!”.
Renzi è il leader indiscusso e probabilmente senza lui questa generazione politica non esisterebbe. È innegabile e inutile mascherarlo. I comunicatori della Leopolda hanno scomodato persino Giacomo Leopardi per mandare un messaggio ai vecchi compagni di partito riproponendo un breve estratto del film Il giovane favoloso in cui il poeta odia “la vile prudenza”.
Sono passati quindi dieci anni, ma lo spirito dell’arrembaggio è rimasto lo stesso. La genuinità dell’esordio è sincera e con più sicurezza oggi si costruisce una casa (il palco ha una copertura a forma di tetto) per chi una casa non l’ha avuta mai. Perché i renziani da sempre hanno vissuto come dei corpi estranei all’interno del Nazareno e oggi che hanno dieci anni di più, hanno fatto come fanno tanti giovani diventati adulti, e salutano genitori e padrini e se ne vanno da casa.
Così dopo due giorni di toni pacati, a Teresa Bellanova spetta di rompere l’equilibrio e le ipocrisie di questi giorni. Il dito è puntato verso la dirigenza del Pd che ha fatto fallire quello che si presentava come il più grande progetto riformista e che non ha avuto, mai, neppure il coraggio di unire i patrimoni economici di Ds e Margherita, mantenendo al suo interno correnti e “bande armate”, che “non dovrebbero esistere in politica e men che meno all’interno dello stesso partito”.
Un discorso accorato che ha preceduto la chiusura di Matteo Renzi che invece ha spostato l’obiettivo verso quello che oggi appare il vero avversario politico, Matteo Salvini e quella politica populista accusata di non guardare al futuro, ma di alimentarsi di paura. Invece, tra le parole d’ordine di questa Leopolda ci sono speranza, futuro, studio.
Il discorso è quello del leader pronto a tornare a Palazzo Chigi a finire un lavoro mai terminato. Il Renzi del fare, anche con il suo 4 per cento, non rinuncia a lanciare proposte per un fisco amico, di disegnare un progetto di politica europea. Renzi lancia segnali chiari “mai alleanze strutturali con i 5 stelle”, “il treno della della legislatura arriva al 2023”, “Salvini pensavo fosse un Don Rodrigo e invece è Don Abbondio”.
La mappa di Italia Viva è tracciata, si riparte con “lo zaino in spalla” come detta Renzi boy scout e “andiamo a conquistarci il futuro” esalta in finale Teresa Bellanova perchè “gli inizi hanno un fascino indescrivibile”. Ma questo era chiaro fin dall’inizio.