Legge elettorale: l’Italia non sa scegliere il suo sistema
Quando si parla di sistema elettorale all’inglese, per un appassionato di politica è subito chiaro che si parla di un sistema di collegi uninominali a turno unico, mentre se si parla di sistema alla francese non vi sono ambiguità sul fatto che si tratti di un uninominale a doppio turno. Più complesso è forse il proporzionale alla tedesca, che tuttavia di fatto è un proporzionale con sbarramento al 5 per cento, mentre bisogna essere amanti della politica più di nicchia per sapere che il sistema spagnolo è un proporzionale diviso tra piccole circoscrizioni autonome. Pochi, tuttavia, saprebbero riferire quale sia il “sistema elettorale all’italiana”.
Questo fatto non è dovuto a un bizantinismo del sistema: i sistemi elettorali sono regolamenti complessi e anche quelli apparentemente più semplici nascondono aspetti complicati. Il problema è che, conclusasi la Prima Repubblica, l’Italia non sembra aver trovato la propria identità in materia di sistema elettorale, come fatto da una serie di altri Paesi, e non dobbiamo stupirci se nei negoziati e nelle proposte in materia degli ultimi giorni non sembra che le idee siano molto chiare.
Dopo che per decenni – con la breve parentesi del 1953, quando si votò con la famigerata “legge truffa” -, l’Italia aveva votato sempre con lo stesso sistema, un proporzionale. Con la fine della Prima Repubblica e le spinte del movimento referendario di Mariotto Segni in senso maggioritario, nel 1994 si andò a votare per la prima volta con una nuova legge elettorale, il Mattarellum, una legge in gran parte maggioritaria ma che manteneva una quota proporzionale, con la quale gli italiani sarebbero andati di lì a poco a votare.
Già all’epoca, per i maggioritaristi puri questa legge fu vista come un tradimento delle loro intenzioni, che non lasciava alle spalle del tutto il passato proporzionalista dell’Italia, tanto che all’epoca venne ribattezzata “Minotauro” proprio per sua parziale unificazione di sistemi diversi. In realtà, tale legge funzionò egregiamente in tutte e tre le tornate elettorali in cui fu utilizzata, e se quel Sergio Mattarella che ha dato il nome alla legge è diventato nel 2015 presidente della Repubblica, un motivo ci sarà. Sorte vuole che all’esordio elettorale del Mattarellum nel 1994, la coalizione più danneggiata dalla nuova legge fu proprio il Patto per l’Italia di Mariotto Segni, che ottenne solo quattro dei 475 collegi uninominali della Camera a fronte di un 15 per cento di voti.
Senza perderci in una lunghissima cronistoria, negli anni successivi abbiamo visto tentativi rendere il sistema elettorale completamente uninominale (la commissione Bicamerale e il referendum del 1999 in primis), altri di alzare la quota proporzionale, proposte correttive come il Nespolum, prima dell’approvazione nel 2005 del famigerato Porcellum, una legge di fatto proporzionale ma con un ampio premio di maggioranza per la coalizione vincente, compromesso tra forze proporzionaliste e maggioritariste, che rappresentava una svolta proporzionale per Forza Italia e Alleanza Nazionale, fautori fino a poco prima di un sistema uninominale.
Questa legge divenne sotto molti aspetti un precedente per minare la cultura italiana di un proprio sistema elettorale: approvata dalla sola maggioranza di governo senza accordi trasversali, definita dal suo stesso estensore, Roberto Calderoli, “una porcata”, andò a sostituire una legge che fino a quel momento aveva funzionato, senza tuttavia avere gli stessi effetti positivi, creando con facilità discrepanze di numeri tra Camera e Senato e, soprattutto, venendo giudicata incostituzionale dalla Consulta nel 2013, dopo che per ben tre volte gli italiani erano stati chiamati alle urne con il Porcellum.
Cambiare una legge che era chiamata “porcata” era stato negli anni precedenti alla pronuncia della Corte Costituzionale un’apparente impegno da parte di molti partiti, ma nulla venne fatto se non tante proposte cadute con il tempo nel vuoto. Nel frattempo in Italia la consapevolezza di una legge elettorale veniva meno, i proclami si facevano sempre più forti, e le proposte si facevano sempre di più legate alla convenienza o alla volontà politica di voltare pagina, senza però avere le idee più di tanto chiare. Fino a sfociare in una sorta di anarchia arrivata dopo l’incostituzionalità del Porcellum.
La legislatura 2013-2018 in questo senso è qualcosa di emblematica, e tecnicamente può vantare il primato di aver avuto ben cinque leggi elettorali diverse in altrettanti anni. Apertasi con il Porcellum, vide questa legge sostituita d’ufficio dalla Consulta per poi arrivare all’approvazione dell’Italicum, legge voluta da Renzi prendendo ad esempio quella dell’elezione dei sindaci, visti come esempio di stabilità. Quando, dopo la vittoria del No al referendum costituzionale del 2016, venne giudicato incostituzionale anche l’Italicum, tecnicamente si ebbe la quarta legge elettorale della legislatura, ovvero l’Italicum corretto. Con le ultime tre leggi elencate, per la cronaca, l’Italia non è mai stata chiamata al voto.
La quinta e ultima legge della legislatura fu il Rosatellum, un ibrido tra proporzionale (in prevalenza) e maggioritario (che assume un carattere complementare) che rappresentava per il PD un passo in senso proporzionale rispetto all’ampio premio di maggioranza dell’Italicum.
Oggi non dobbiamo perciò stupirci se vediamo partiti alternare proposte dal proporzionale al maggioritario, cercare di creare ibridi fra gli sbarramenti: sembra che la legge elettorale sia diventata una materia per affrontare la prossima elezione, e non qualcosa da lasciare per generazioni, come invece sembra stia succedendo, sempre in Italia, per la legge elettorale comunale, in vigore dagli anni Novanta, e regionale, che pur avendo visto modifiche di regione in regione dovute all’autonomia in materia mantiene in gran parte l’impostazione del Tatarellum anni Novanta.
Le proposte di legge elettorale per Camera e Senato sono ormai un fatto che punta principalmente a far galleggiare un partito, metterne all’angolo un altro, in gran parte in base alle contingenze del momento. Fare in modo che i cittadini possano aver chiaro subito cosa sia il sistema elettorale “all’italiana” non sembra essere all’ordine del giorno: se questa volontà ci fosse stata, forse, avremmo ancora il Mattarellum.