“The Planet is on a fast path to destruction. The media must cover this like it’s the only story that matters”, Margaret Sullivan, Washington Post. Secondo un nuovo studio condotto da Greenpeace Italia e Osservatorio di Pavia (istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione), l’emergenza climatica continua a trovare poco spazio sui quotidiani e viene raccontata come se non avesse responsabili, a riprova dell’enorme influenza esercitata dall’industria dei combustibili fossili sul mondo dell’informazione.
Lo studio, diffuso proprio mentre è in corso la COP27 a Sharm el-Sheik, ha esaminato come è stata raccontata la crisi del clima nel periodo tra maggio e agosto 2022 da parte delle edizioni cartacee dei cinque quotidiani nazionali più diffusi in Italia (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), e anche dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7, oltre che da un campione di programmi televisivi di approfondimento.
I risultati mostrano come nel secondo quadrimestre dell’anno i principali quotidiani italiani abbiano pubblicato in media tre articoli al giorno in cui si parlava esplicitamente della crisi climatica (si va dai 2,5 articoli al giorno di Repubblica e La Stampa, ai 3,5 di Avvenire).Si tratta di un aumento significativo rispetto al primo quadrimestre, con un picco nel mese di luglio, dovuto soprattutto alle preoccupazioni per la siccità e per le ondate di calore che hanno colpito l’Italia. Ma è un dato ancora distante dall’attenzione che meriterebbe il cambiamento climatico, la sfida più importante della nostra epoca.
D’altro canto si conferma invece l’ampio spazio offerto dai giornali alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche (tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta).
Sul Sole 24 Ore appaiono quasi 5 pubblicità di queste aziende inquinanti a settimana, mentre la media su tutti i giornali è di oltre 3 spazi pubblicitari a settimana. Non solo: l’influenza del settore industriale (e i relativi interessi economici) emerge anche esaminando il modo in cui i principali quotidiani italiani raccontano la crisi climatica. Negli articoli dedicati al riscaldamento del pianeta, infatti, le aziende si confermano il soggetto che ha più voce in assoluto (16,3%), superando gli esperti (15,3%), i politici (12,8%) e le associazioni ambientaliste (12,2%). In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha aggiornato la classifica dei principali quotidiani italiani, valutati mediante cinque parametri: 1) quanto parlano della crisi climatica; 2) se tra le cause citano i combustibili fossili; 3) quanta voce hanno le aziende inquinanti e 4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; 5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti. Quest’ultimo parametro è stato valutato con un questionario che Greenpeace ha inviato ai direttori delle cinque testate, a cui ha risposto parzialmente solo Avvenire.
Considerando la media dei cinque parametri, Avvenire raggiunge la sufficienza (3,2 punti su 5), ma sono scarsi i punteggi di La Stampa (2,6) e Repubblica (2,4), mentre in fondo alla classifica si trovano il Corriere e Il Sole 24 Ore (2,2). Il ruolo del giornalismo, libero e incondizionato, è cruciale perché l’opinione pubblica venga a conoscenza di chi e quanto inquina il pianeta. Ma oltre a questo serve anche a stimolare politiche più ambiziose a difesa delle persone e del pianeta.
The Post Internazionale, anche a causa delle inchieste sull’Africa depredata dai colossi petroliferi (tra cui Eni), non ha ricevuto un euro di finanziamento da parte dei grandi inquinatori. Non è un vanto, ma un fatto. Per non esserci mai piegati.
Non c’è inflazione, guerra o immigrazione che tenga: se il Pianeta non esisterà più, non avremo modo di racontare nient’altro. Per questo, oggi, il clima dovrebbe essere l’argomento principale nelle agende dei quotidiani e delle riviste italiane.