Pacifismo e nonviolenza son cose diverse, si sa. La guerra in Ucraina aiuta a ripassare i fondamentali. Ma sarebbe meglio che ci aiutasse anche a fare qualche passo avanti.
Anche di questo si parlerà al Congresso di Eumans – a Varsavia e online venerdì 11 e sabato 12 marzo – il movimento di cittadini europei per la libertà, la democrazia e la sostenibilità.
Di fronte a una guerra di aggressione di uno Stato sovrano contro un altro, il pacifista chiede la pace, è contro tutte le armi, anche quelle di chi si difende. Il nonviolento invece si pone come priorità quella di fermare l’aggressore, anche con le armi nella misura in cui sia indispensabile.
Personalmente, non ho dubbi su cosa scegliere: mentre impazza la guerra, il pacifismo diventa una risorsa per l’aggressore, in questo caso Putin. Se le sanzioni non bastano, bisogna fare dell’altro. La richiesta dell’Ucraina di garantire uno spazio aereo demilitarizzato per scongiurare un massacro del loro popolo a me pare ragionevole. Ci sono dei rischi, ma è forse più rischioso ancora lasciare campo libero a Putin. Su questo, la strada del “no assoluto” alle armi non è conciliabile.
Però sarebbe sbagliato fermarsi qui. Non c’è solo l'”immediato”, non ci sono solo “le armi”.
Allargando lo sguardo nello spazio e nel tempo, il pacifista e il nonviolento possono lavorare assieme per costruire un’alternativa al militarismo, anche quello dei “buoni” (che troppo buoni non sono mai), dei “nostri”, degli “atlantici”. Allargare lo sguardo non vuol dire distoglierlo dall’emergenza, ma incardinare subito progetti più ampi.
Alcune parole chiave per un’agenda di pace nonviolenta sono: federalismo, internazionalismo, antimilitarismo, democrazia:
il federalismo, se fondato sui diritti della persona prima ancora che su quelli dei popoli, è l’unico strumento in grado di sminare il campo dei conflitti etnici e religiosi. Se le persone e le comunità a livello locale sono lasciate ragionevolmente autonome nel governarsi senza imporre una lingua, una cultura, una religione, diventa meno esiziale scegliere “di chi è il Donbass”, o il Sudtirolo, o il Tibet, o i Paesi Baschi, o l’Irlanda del nord, o…. Il pacifista cita spesso la “pace perpetua” di Kant, ma bisogna ricordare che quell’obiettivo era da Kant fondato non sul neutralismo, ma sul progressivo raggiungimento di un federalismo mondiale;
collegato inscindibilmente al federalismo è il rafforzamento delle istituzioni internazionali, affinché abbiano la forza di limitare la sovranità assoluta degli Stati nazionali. La Corte penale internazionale è la più concreta conquista istituzionale globale di prevenzione alla guerra che sia stata realizzata da dopo la seconda guerra mondiale. Non ha giurisdizione in tanta parte del mondo, ma può stroncare la carriera politica di un criminale;
l’antimilitarismo parte da un assunto vero: più spesa militare porta più guerra; il nonviolento non sarà disposto a un disarmo unilaterale delle democrazie, ma con il pacifista può condividere la lotta per il disarmo globale, per trovare anche modalità innovative non belliche di difesa di un popolo, per promuovere una cultura nonviolenta, dalle scuole ai dibattiti televisivi;
la democrazia e le libertà fondamentali non sono un fatto neutro. Non basta essere democrazie per non fare guerre e non commettere crimini. Decenni di antiamericanismo ce lo hanno incessantemente ricordato (le ferite di Iraq e Afghanistan ancora bruciano). Ma doversi confrontare con dei cittadini informati da media non totalmente asserviti al potere politico può fare la differenza. Che una democrazia ne attacchi un’altra è davvero improbabile. E sono ancora le democrazie a poter meglio affrontare alla radice le cause profonde delle guerre, in termini di disuguaglianze, di rispetto per le minoranze e per l’ecosistema.
L’Unione europea è l’esperimento istituzionale mondiale più avanzato dal quale può dipendere la possibilità stessa di una politica di pace nonviolenta, perché racchiude in sé partite decisive su tutte queste parole chiave.
Un avvio immediato del processo di adesione dell’Ucraina alla UE è l’esempio di come una soluzione istituzionale di lungo periodo potrebbe avere un effetto positivo subito. Ucraina nella UE non significa dare un premio all’Ucraina, e meno che mai fare i complimenti per come è stata gestita le democrazia in Ucraina negli ultimi anni. Né significa alzare la posta dello scontro militare con Putin, non essendo la UE un’alleanza militare. Significa invece sollevare anche davanti a Putin proprio l’idea che la questione fondamentale alla quale non possiamo rinunciare non è l’interesse geopolitico, il gas, il petrolio, il grano, l’accesso al mare,… che sono tutte cose importantissime, naturalmente. La cosa più importante è modellare le nostre istituzioni sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Verso il federalismo mondiale, per la pace, con Kant, senza per questo perdere di vista il fatto che proprio in queste ore un popolo rischia di essere spazzato via con le armi.
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