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    Joseph, morto nel Mediterraneo a soli 6 mesi: hanno cambiato i decreti sicurezza ma la musica non cambia

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 12 Nov. 2020 alle 11:14 Aggiornato il 12 Nov. 2020 alle 11:41

    Si chiamava Joseph, veniva dalla Guinea, aveva sei mesi. Aspettava un’evacuazione urgente dopo essere stato salvato da un naufragio. Ma non c’è stato tempo e Joseph è morto, insieme ad altre cinque persone. Joseph è morto nel Mediterraneo, a bordo dell’imbarcazione di Open Arms, una delle poche Ong rimaste in mare dopo la stretta dei decreti sicurezza.

    Il gommone su cui si trovava Joseph non ha retto e ha ceduto a circa 30 miglia a nord di Sabratha. La scena che si è presentata davanti ai soccorritori della Ong Open Arms ripete le dinamiche di tutte le tragedie dell’immigrazione: persone in acqua, prive di salvagente, che tentano di salvarsi aggrappandosi a qualsiasi cosa galleggi.

    La Guardia costiera italiana, verificata l’indisponibilità di altri Stati della regione, ha inviato una motovedetta con personale medico, ma Open Arms polemizza con le autorità ricordando di essere l’unica realtà rimasta ad operare nel Mediterraneo dopo i fermi amministrativi delle altre imbarcazioni delle Ong.

    Nel Mediterraneo non c’è più nessuno, a navigare nel vuoto istituzionale restano solo poche navi umanitarie che operano effettuando attività di monitoraggio e pattugliamento. All’occorrenza rapportano notizia di una eventuale unità navale in pericolo alle Autorità responsabili del soccorso marittimo, intervenendo poi dietro loro coordinamento oppure direttamente in caso di urgenza o in caso di inerzia da parte delle autorità (ma sempre e solo in situazione di necessità), in collaborazione con velivoli come “Moonbird” e con Alarm Phone. Le Ong sono state falciate da una vera e propria persecuzione amministrativa: le capitanerie di porto hanno bloccato la Sea Watch3, la Mare Jonio battente bandiera italiana, la Sea Watch4 di bandiera tedesca, per cavilli burocratici.

    Il punto riguarda l’attività di soccorso marittimo, svolta senza avere la certificazione amministrativa relativa alla idoneità tecnica. Ma nell’ordinamento italiano le uniche unità costruite ed allestite per la salvaguardia della vita umana in mare sono proprio le unità navali specializzate della Guardia Costiera (sono quelle che recano la scritta SAR ben visibile dall’alto), secondo quanto stabilisce il Piano nazionale SAR, documento approvato con decreto dell’allora Ministero dei Trasporti, nel 1996.

    La svolta doveva arrivare con la modifica ai decreti sicurezza operata dal nuovo governo Conte e per volontà della ministra Lamorgese, ma ciò – nella sostanza – non è avvenuto. È vero che sono state ridotte le multe milionarie per le Ong e viene affidato ad un giudice il potere di comminarle insieme alle sanzioni penali già previste dal codice della navigazione per la violazione del divieto di ingresso in acque territoriali, ma nei fatti il processo di criminalizzazione di chi presta soccorso in mare, che al contrario andrebbe sostenuto ed affiancato, non si è spezzato.

    E i risultati sono quelli che verifichiamo oggi, piangendo un’altra vittima del vuoto. Dice bene Marco Omizzolo, sociologo Eurispes, “Joseph è morto in mare in attesa dei soccorsi mai arrivati. I decreti sicurezza sono stati cambiati ma la musica è rimasta la stessa. Ed è musica da funerale”.

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