Ho appena letto un articolo di uno dei tanti corrispondenti dei nostri giornali a Bruxelles. Alcuni sono ottime penne e avendo trascorso anni e anni nella capitale belga vantano anche un’esperienza discreta di affari europei. Li conoscevo tutti quando ero Ambasciatrice e spesso li invitavo in residenza.
Restavo tuttavia perplessa durante le nostre conversazioni come lo sono ora dopo la lettura di un articolo uguale a tanti altri e immutabile nel tempo. Sembra che il lavoro di corrispondente dall’estero sia interpretato come una missione speciale: giustificare l’Ue, il vuoto delle politiche comuni, l’incoerenza delle scelte e porre lo stigma sul governo italiano, non importa di quale colore, se osa anche per sacrosante ragioni, entrare in contrasto con le gerarchie brussellesi. A volte ci si domanda se siano retribuiti dalla burocrazia europea oppure dal giornale su cui scrivono. Prendiamo i due esempi più comuni: la governance monetaria e la politica dell’immigrazione.
Asimmetria finanziaria
Come è noto dal Trattato di Maastricht (1992) in poi l’architettura monetaria europea non è riuscita a compiersi. È rimasta asimmetrica. La moneta unica non è stata accompagnata da una fiscalità comune. L’unione bancaria mille volte considerata imminente non è stata ancora varata. Ogni economista onesto considererebbe l’attuale sistema, le politiche pro-cicliche che lo caratterizzano, essere di chiaro vantaggio per i Paesi creditori. Gli Stati debitori sono penalizzati.
Ci si dovrebbe aspettare pertanto che i corrispondenti italiani, lautamente retribuiti per analizzare gli Affari Europei, oltre a denunciare – come è giusto – gli sprechi della spesa pubblica italiana, le corruttele della politica nostrana che hanno alimentato un debito indecente, siano in grado a volte di lamentare la mancanza di volontà politica europea nel correggere le lacune di un sistema in grado per anni di appesantire il fardello dei Paesi più poveri, della periferia, (da Stoccolma così ci considerano e neanche si rendono conto della comicità di un tale appellativo rivolto a un Paese fondatore dell’Europa) dei cosiddetti PIGS.
Al contrario il giornalista, esperto del “Club”, prova vergogna ogni qual volta l’Italia insorge contro la austerità ipocrita, (inesistente quando si tratta di finanziare le spese militari) e prova almeno a distinguere gli investimenti produttivi dal resto del deficit. Il corrispondente con stanco paternalismo bacchetta allora lo sfortunato Ministro delle Finanze, esprimendo compassione per un’azione velleitaria che può soltanto far aumentare lo stigma sul Paese.
Vittime di Dublino
Ugualmente nel caso di una politica comune dell’immigrazione mai realizzata dalle élites europee. La Commissione, dopo Jacques Delors, non è stata più in grado di rappresentare il pilastro comunitario ed è rimasta al traino del volere degli Stati membri che si esprimono nel Consiglio europeo.
In una situazione in cui il sistema di Dublino penalizza gli Stati di primo ingresso, mentre vince l’egoismo ed il cinismo di ciascun Paese, lasciando come capri espiatori soprattutto Grecia e Italia, ecco che il nostro simpatico giornalista scuote la testa e fa la predica ai Governanti italiani che si permettono di alzare un pochino la voce. Eh no, per carità, in ginocchio! Il Club non perdona!
Inutile ricordare che la Germania ha imposto, con sacrifici ripartiti tra tutti gli Stati membri, l’indecente accordo con Erdogan: 6 miliardi affinché i migranti non utili fossero trattenuti in campi di detenzione turchi proteggendo Berlino dai flussi provenienti dalle rotte balcaniche al tempo della guerra in Siria. Inutile e stupido fare il paragone con l’emergenza che colpisce oggi l’Italia, anche grazie alla guerra in Libia decisa da Francia, Regno Unito e Stati Uniti, e che non riceve alcuna solidarietà europea! Per carità non mettiamo i puntini sulle i, il dito nella piaga!
Divisi su tutto, sempre
Meglio fingere che tutto va bene, auspicare un compromesso piccolo piccolo, al minimo comun denominatore, che lascerà le asimmetrie, le ingiustizie e le indecenti ciniche politiche in piedi.
Eppure non è così che si fa politica. È possibile avere la schiena diritta nella Nato come in Europa. Nell’Alleanza ce lo insegna ogni giorno la Turchia, membro onorato, che persegue i propri interessi con straordinaria abilità.
In Europa ce lo insegna la Svezia capace, per esempio, di far accettare persino il costume nazionale di masticare il tabacco e farlo considerare praticabile a Stoccolma, una sacra eccezione per le regole comuni imposte agli altri Stati membri.
Ricordo che quando ero Ambasciatrice, un ex primo ministro socialdemocratico, a cui descrivevo le inique regole europee e le ragioni italiane, mi chiese come mai un Paese fondatore di sessanta milioni di abitanti non fosse in grado di contare e di imporre il rispetto dei propri interessi. E aggiunse con un sorriso che la Svezia con i suoi 11 milioni di abitanti e senza essere stato un Paese fondatore era ascoltata in Europa. All’epoca non volli dare elementi negativi sull’Italia e glissai sull’argomento.
Sappiamo tuttavia perché Roma non è come Stoccolma, perché perde le sue battaglie sulla comunicazione. A Stoccolma, quando sono in gioco gli interessi nazionali, il Paese è un unico blocco: Governo, opposizione, stampa. In Italia ci sono mille Italie l’una contro l’altra. La stampa inoltre, con un classico complesso di colpa ereditato dall’Italietta di altri tempi, si schiera dalla parte del più forte: dell’Europa che, come tutti i padroni, ha ragione soprattutto quando ha torto.
Leggi l'articolo originale su TPI.it