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    L’Italia ha urgente bisogno di una rivoluzione culturale. Altrimenti sarà una catastrofe

    Il David di Michelangelo, conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze

    I politici odierni hanno dimenticato cosa si intende per bene comune e si sono ridotti all'impotenza. Anziché badare al perno delle questioni si preoccupano dello sguardo della cittadinanza. Il commento di Fiorenza Loiacono

    Di Fiorenza Loiacono
    Pubblicato il 8 Dic. 2019 alle 15:48

    L’Italia ha bisogno di una rivoluzione culturale. O sarà la catastrofe

    Se si osserva lo scenario politico italiano, partendo dal governo fino alla visione della società, appare evidente come per l’Italia si stia profilando un futuro abbastanza improduttivo e improvvisato, tra la morsa dell’indecisione e dell’acquiescenza. Tra la viltà e l’avarizia delle passioni e dei sentimenti.

    Se non subito, assisteremo presto alla dirittura d’arrivo di questa vicenda di prostrazione democratica. La catastrofe di un’umanità che disperde se stessa. In tal senso sarebbe necessario rimettere in sesto il cammino della civiltà attraverso una decisa e repentina inversione di rotta in cui ogni cittadino, donna o uomo che sia, assuma una posizione netta e chiara, solerte, rispetto a un’azione di portata politica e culturale rivoluzionaria.

    Bisogna recuperare il patrimonio disperso di questo Paese, la sua cultura e civiltà. Le condizioni politiche esistenti appaiono oggi estremamente conflittuali e dunque inadeguate rispetto alla costruzione del futuro. Perché manca la risorgenza, la spinta, la fantasia e la creatività che costituiscono l’unica linfa vitale alla base della produzione e della formazione di realtà progressive. Degne, non intrise di violenza.

    Il rischio che si prospetta davanti a noi – e Hannah Arendt lo aveva già paventato in “Origini del totalitarismo” – è il dissesto e il disfacimento delle istituzioni. Se osserviamo il comportamento del governo, possiamo renderci conto di alcuni segni premonitori.

    In particolare, il primo ministro non è un leader politico e dunque non è in grado di stabilire con la cittadinanza un legame saldo e credibile, fondato sull’idea e la possibilità del riscatto e della speranza. All’interno di questo governo è inoltre già presente il conflitto, il nemico interno, determinato dalla presenza di figure poco concentrate sul lavoro e dunque nocive, perché sostanzialmente prive dell’humus conoscitivo e culturale necessario a portare avanti un lavoro ben fatto.

    Manca la tenuta, l’assertività e in generale la capacità di visione e focalizzazione sui progetti e sulla realtà. In generale i politici odierni hanno dimenticato cosa si intende per bene comune e si sono ridotti all’impotenza. Anziché badare al perno delle questioni si preoccupano dello sguardo della cittadinanza. In tal senso, disperdendo la sostanza delle cose e seguendo miriadi di occhi, si sono privati della capacità di incisività e decisionalità. Mancano di coraggio e costruttività. Non capiscono le ragioni dell’odio e dell’avvilimento e dunque non sanno modificare queste condizioni.

    In Italia e non solo, la realtà degli eventi è stata sostituita negli ultimi anni da un suo surrogato, estremamente labile e conturbante, attraverso il quale prendono forma scenari drammatici e apocalittici. A essere propagato attraverso il mistume informativo e informatico è un mondo confuso, inattendibile, incerto e rarefatto, a cui la gente si è abituata, assuefatta, finendo per perdere i riferimenti della propria esistenza, i cardini del proprio essere al mondo.

    Milioni di vite hanno assorbito milioni di altre. Parte della civiltà è stata sostituita dall’autoreferenzialità, dall’autocelebrazione, ovvero dalla miseria opposta alla prodigalità scopribile delle cose del mondo.

    Ovviamente, in questo scenario l’educazione, la gentilezza, la cortesia ne hanno fatto le spese. Cioè il savoir-faire, che è alla base del saper vivere. Questa realtà di solitudine, che Hannah Arendt avrebbe definito “da incubo”, si è di fatto riprodotta e replicata attraverso una moltitudine di menti, che hanno finito per reificare realtà mostruose, compreso il culto del fascismo e del nazismo.

    Date queste condizioni, il tessuto nazionale e sociale dello Stato si è ampiamente lacerato, per ragioni non esclusivamente politiche ma anche eminentemente culturali ed educative. In questo frangente, in queste fratture, l’estrema destra ha avuto modo di proliferare. Tra il disadattamento e il disorientamento di un mondo prostrato da anni di disperazione, dispersione, inadempienza e irresponsabilità. Pubblica e privata.

    La rivoluzione da compiere oggi consiste dunque nel recupero della centratura, secondo una visione che riporti le persone alla realtà. Secondo un recupero di contenuti, passioni, espressività che costituiscono l’unico modo per arginare la violenza. Per abbattere in questo Paese anni e anni di barriere innalzate dall’insofferenza, dall’indifferenza e dalla pervasività del malcostume.

    L’unica ancora di salvezza è nel recupero visionario, creativo, immaginifico del patrimonio storico, culturale e civile di questo Paese. Il meglio che abbiamo avuto e che possiamo ancora dare.

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