È più che comprensibile provare orrore davanti ai massacri in Ucraina. Stupirsi, tuttavia, lo è molto meno. Non ricordo un conflitto, ancor più se fratricida, che non sia stato caratterizzato da crimini di guerra. Criminale fu l’eccidio nazista a Marzabotto, criminale il massacro delle Fosse Ardeatine. Criminali furono i bombardamenti su Dresda, criminali le atomiche in Giappone quando la guerra era ormai finita. Criminale fu la politica della “tierra arrasada” perpetrata dall’esercito Guatemalteco, supportato dagli Stati Uniti, a danno delle popolazioni maya.
A Mỹ Lai, in Vietnam, il 16 marzo del 1968, un gruppo di soldati americani agli ordini del tenente William Calley, massacrò centinaia di civili vietnamiti tra i quali anziani, donne, bambini e persino neonati. I vecchi vennero torturati, le donne stuprate, i bambini più piccoli straziati con i calci dei fucili. Il tenente Calley fu processato e condannato all’ergastolo ma Nixon gli concesse i domiciliari che scontò per soli tre anni e mezzo prima di tornare in libertà.
Con la compiacenza dell’esercito israeliano vennero trucidati dalle falange libanesi centinaia di civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila.
«Io sono stato nel Libano e ho visto i cimiteri di Shatila e Sabra. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quel massacro orrendo. Il responsabile di quel massacro orrendo è ancora al governo, in Israele. Va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile a cui dovrebbe essere dato il bando dalla società. È stato un massacro, mi hanno detto quelli del posto, tremendo. Quante vittime ha fatto».
Queste parole le pronunciò Sandro Pertini, da Presidente della Repubblica, poche settimane dopo il massacro. Immagino che Pertini si riferisse a Sharon quale responsabile “politico” della mattanza. Non mi pare che Pertini propose di inviare armi alla resistenza palestinese pur condividendone, evidentemente, il diritto a resistere all’occupazione. E neppure il governo italiano pensò di armare i palestinesi nonostante il Presidente del Consiglio Bettino Craxi, nel 1985, giudicasse “legittima” la lotta armata palestinese seppur totalmente controproducente.
Tre anni dopo, nel 1988, Saddam Hussein usò le armi chimiche per gasare la popolazione curda di Halabja, una cittadina del Kurdistan iracheno. Morirono 5000 persone ma l’occidente non si scandalizzò. Saddam Hussein, d’altro canto, era un alleato fondamentale per fermare l’avanzata del khomeinismo che aveva trionfato in Iran. Più o meno quel che avviene oggi, Erdogan usa la mano pesante sui curdi ma nessuno si indigna. La Turchia fa parte della Nato ed Erdogan è “un dittatore di cui si ha bisogno” (Draghi dixit).
Nel luglio del 1995, a Srebrenica, in Bosnia, oltre 8000 musulmani bosniaci vennero trucidati dai militari della Repubblica Serba di Bosnia e da gruppi di paramilitari serbi. Fu un atto di genocidio durante una guerra che vide tutte le forze in campo macchiarsi di indicibili crimini. Nell’ottobre del 1993, a Stupni Do, un villaggio poco distante da Sarajevo, furono i croati ad uccidere una quarantina di civili bosniaci tra i quali disabili e bambini mentre a Pakračka Poljana, in Slavonia, una regione della Croazia, furono i serbi ad esser torturati e giustiziati dai paramilitari croati agli ordini di Tomislav Merčep.
Nel novembre del 2004, a Falluja, una grande città adagiata sull’Eufrate, l’esercito statunitense utilizzò bombe incendiarie ed ordigni al fosforo bianco per fiaccare la resistenza irachena. Il numero di morti civili bruciati vivi dalle “bombe intelligenti” dei nostri alleati non è certo. Quel che è certo è che le conseguenze di quei bombardamenti, in termini di un aumento esponenziale di tumori, furono terrificanti. Per anni è esplosa la mortalità infantile per cancro ma nessuno ha osato chiedere che George W. Bush fosse trascinato davanti al Tribunale penale internazionale ed esser giudicato per crimini di guerra.
Questa parziale e limitata carrellata di crimini e genocidi non intende giustificare quelli che vengono commessi oggi in Ucraina dalla truppe russe (e da anni, in Donbass, dai battaglioni neonazisti ucraini divenuti idoli dei revisionisti liberal nostrani). Tutt’altro. È solo un modo per ricordare quel che è la guerra e tutto ciò che ne consegue. La guerra è morte, la guerra è distruzione, la guerra sprigiona vendette, odio, disumane ritorsioni, oscene rappresaglie. Mi stupisce lo stupore che prova qualcuno guardando gli edifici sventrati, le fosse comuni, i crateri delle bombe, i civili in fuga. L’orrore che proviamo (e che abbiamo provato molto meno in passato perché i crimini di guerra compiuti dai “buoni” venivano costantemente occultati) dovrebbe spingerci a pronunciare ovunque le parole tregua, accordi, reciproche concessioni, negoziati, armistizio.
Parole che, ultimamente, vengono sempre più sostituite da “occorre inviare più armi”, “vanno inasprite le sanzioni, “Putin è un macellaio”, “è in atto un genocidio”.
La settimana scorsa il generale Tricarico, ex-Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare ha detto: “la parola negoziato non è stata mai pronunciata da Biden, da Stoltenberg, da Blinken, da Johnson”. E ancora: “se andiamo a scorrere tutti gli interventi pubblici o anche non pubblici di quei personaggi che ho detto non troveremmo mai le parole cessare il fuoco, negoziato, stop alle armi, perché evidentemente non vogliono la pace. Io so quello che dico, Joe Biden non vuole la pace e se non la vuole Joe Biden non la vogliono tutti gli altri”.
Nell’Italia di oggi i militari sono più lucidi dei politici perché loro la guerra sanno cosa sia. Nell’Italia di oggi sul Corriere della Sera Gramellini si permette di definire l’ANPI, Associazione Nazionale Putiniani d’Italia. Nel Paese alla rovescia si pensa ad aumentare le spese militari mentre nel Def (Documento di Economia e Finanza) il “governo dei migliori” pensa a tagliare sanità ed istruzione. Nel Paese alla rovescia un eccellente inviato di guerra come Toni Capuozzo riceve manganellate mediatiche da pseudo-colleghi invidiosi del coraggio altrui. Nel Paese alla rovescia chi osa ricordare che l’Italia ripudia la guerra come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” viene considerato un povero coglione. Nel Paese alla rovescia il Papa che parla di folle aumento delle spese militari viene censurato dal sistema mediatico.
Nel Paese alla rovescia Enrico Letta, segretario del partito nato dalle ceneri del PCI sembra Ignazio La Russa senza barba. Nel Paese alla rovescia chi chiede un’inchiesta internazionale sui crimini di Bucha viene considerato un negazionista. Nel paese alla rovescia il battaglione Azov viene incensato come fossero apostoli intenti ad evangelizzare l’Ucraina. Nel Paese alla rovescia chi ricorda che la guerra in Ucraina (non a questa intensità chiaramente) c’è dal 2014 e che l’Europa non ha mosso un dito per fermarla viene considerato un putiniano.
Nel Paese alla rovescia si deve condannare l’invasione russa prima di pronunciare qualsiasi frase per provare ad evitare un maccartismo stomachevole. Nel Paese alla rovescia chi da settimane sostiene che le sanzioni non abbiano mai messo fine ad una guerra in tempi rapidi viene considerato un collaborazionista dei russi. Nell’Italia di oggi chi si domanda il perché nessuno abbia pensato di inviare armi ai palestinesi da decenni sotto occupazione militare riceve insulti ma mai una risposta.