Ne parlavo ieri con Massimo Cacciari su Zoom, in Veneto si sta rischiando grosso. Il governatore Zaia è in continua espansione, all’80% del gradimento secondo Euromedia Research, e come tutti i leghisti va fermato. Luca Zaia, 52 anni, nasce in provincia di Treviso, a Bibano, frazione di Godega di Sant’Urbano, così sperduta che gli abitanti stessi ne ignorano l’esistenza. Nell’album di famiglia, tutta democristiana, troviamo un nonno migrante e una mamma dal nome sospetto, Carmela. Studia all’Istituto Enologico, si laurea in Scienze della Produzione Animale e finisce a fare il PR per le discoteche della zona: “organizzavo feste anche con due o tremila persone”.
Labbra fini, risata mascellona, appena trentenne è già presidente della provincia di Treviso, poi vice presidente della giunta regionale, poi ministro delle Politiche Agricole. La tempra ribelle si rivela già nel 2006 quando, contro ogni direttiva di partito, salva un albanese da un auto in fiamme. Dal 1999 è sposato con la stessa identica donna, la Raffaella; dal 2010 è presidente del Veneto. Si dichiara pannelliano, ghandiano, ma anche contro la pillola, le adozioni gay, lo ius soli. Si è distinto dalla élite del suo partito per aver disertato il razzismo, scansato l’omofobia, la boria e pure il richiamo della mazzetta. Fin qui nulla di eccezionale.
Appena scoppia l’epidemia però chiude Vo’ Euganeo e l’ospedale di Schiavonia, fa tamponi a tappeto, riapre gli ospedali dismessi, dà retta agli esperti, abbassa le saracinesche dei supermercati alla domenica e finisce per ricevere i complimenti da Harvard. Insomma, nei giorni di amuchina e me**a mostra una padronanza del mezzo francamente insopportabile. Un profumo di brillantina e santità lo avvolge a ogni conferenza stampa; su Facebook lo seguono in 580mila e di questo passo figuriamoci come performerà alle prossime elezioni, quelle per il Presidente della Repubblica.
Con un quadro del genere non è difficile comprendere la disperazione sui volti di noi democratici ma soprattutto sul mio, che tradisce tratti marcatamente africani. Non possiamo cioè permettere che agli occhi dell’opinione pubblica si accrediti la figura del leghista assennato, un fenomeno mai osservato in natura e che invece adesso rischia di diventare realtà. Gli effetti potrebbero essere devastanti. Perché il rischio è che tornino i capitani, le ruspe, i pillon. La soluzione che si delinea dunque è solo una, quella del sequestro di persona ghandiano: fare sparire per un po’ il governatore, inteso come cavallo di Troia sovranista, per stoppare ogni tentativo di compromesso storico tra buonsenso e leghismo.
Il cavallo appunto: io e la mia colonna di democratici lo colpiremo mentre pratica il suo hobby preferito, il trotto. Cacciari stordirà la scorta con un lancio di volumi rilegati mentre io immobilizzerò il cavallo, a quel punto Zaia non potrà opporre resistenza e verrà ammanettato da Beppe Severgnini. Michela Murgia, anche lei travestita da corriere Bartolini, trasporterà il governatore in un casolare del veronese. Qui, sotto la minaccia di Gramellini di fargli bere prosecco made in Piemonte, lo costringeremo a scrivere un memoriale che riveli tutte le magagne del suo partito ma soprattutto quelle del suo leader. Un’operazione che potrebbe richiedere mesi. Lasso di tempo utilissimo per oscurare l’ascesa splendente del governatore veneto. Lo libereremo solo quando ammetterà che in realtà ha sempre votato Più Europa, che gli piacciono le donne di colore, che si è iscritto al partito con l’intento esclusivo di prenderli per il culo. Ecco, solo così sarà possibile disinnescare il pericolo che la Lega, attraverso una sua eccezione genetica, recuperi credibilità e scorrazzi di nuovo per l’Italia.
Capisco le alzate di sopracciglio, ma col tempo la popolazione capirà (anche Standard & Poor’s è con noi). Poi certo, un’alternativa al rapimento in teoria ci sarebbe. Quella di prelevare il sangue di Zaia, ricavarne il plasma e mischiarlo di nascosto alla birra distribuita ogni anno al raduno di Pontida. E attendere qualche settimana, con la speranza di riscontrare nell’elettorato sovranista una forma stabile di guarigione. Nello specifico: un’immunità ad ampio spettro verso i politici che fanno leva sugli istinti più bassi, un rifiuto fisico verso le tematiche razziste, un’eccitazione sessuale solo per quegli amministratori che, pur avendo fatto i PR da giovani, non hanno la faccia da mojito e sanno ottenere risultati concreti. Un progetto dalle aspettative troppo ottimiste, che il direttore dell’OMS stesso ha bollato come pura fantascienza. E quindi, a malincuore, torno a cercare una divisa Bartolini.
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