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    Il potere logora chi ce l’ha, compreso Draghi

    Dopo poco più di un anno al governo il "Whatever it takes" non tira più. Dalla pandemia alla guerra, l’immagine di SuperMario è sempre più sbiadita. È la storia che si ripete da Berlusconi in poi

    Di Riccardo Barenghi
    Pubblicato il 21 Apr. 2022 alle 19:44 Aggiornato il 21 Apr. 2022 alle 19:45

    Quando diceva che il potere logora chi non ce l’ha, Giulio Andreotti aveva torto. Ne abbiamo avuto innumerevoli prove in questi ultimi decenni, basta ripensare ai diversi premier che sono caduti in disgrazia dopo essere stati all’apice della carriera, da Prodi a Berlusconi, da D’Alema a Monti, da Conte a Renzi. E oggi la storia si ripete con Draghi, che non è ancora caduto in disgrazia ma è sulla buona strada: certo non è più l’uomo che solo un anno fa veniva chiamato SuperMario. Per molti mesi, al nostro premier bastava un gesto, un’alzata di sopracciglio, un sorriso ironico per rimettere a posto i partiti della sua maggioranza, che magari borbottavano, scalpitavano, mostravano insoddisfazione per questo o quell’altro provvedimento del governo.

    Ma alla fine si rimettevano in riga, non c’era discussione, non si muoveva foglia che il premier non volesse. E la maggioranza degli italiani gradiva e approvava: «Meno male che Mario c’è».Ma oggi, oggi c’è ancora il salvatore del Paese? L’uomo che quando era presidente della Bce ci ha tirato fuori dalla crisi economica con il suo famoso whatever it takes, ovvero tutto ciò di cui c’è bisogno, e poi da premier ha messo in campo una poderosa campagna vaccinale, accompagnata da provvedimenti capaci di aiutare gli italiani a risollevarsi dalla pandemia e dagli effetti nefasti che essa aveva provocato sulla loro vita. Non che il problema sia risolto, il virus ancora circola e i soldi non tanto, tuttavia la situazione è sicuramente migliorata rispetto all’anno scorso.Invece Draghi è peggiorato, oggi appare appannato (e non per il Covid che lo ha colpito), sembra che abbia perduto quel carisma e quella capacità di governare il Paese, e soprattutto i partiti che lo sostengono ancora.

    Prima ha sbagliato la mossa nella partita del Quirinale, candidandosi in maniera ambigua e senza neanche riuscire a farsi eleggere, ma indebolendo sé stesso e il suo governo. Poi si è gettato a corpo morto nella guerra ucraina, dimostrando una totale assenza di autonomia dagli Stati uniti. Infine – e siamo alla cronaca di questi giorni – lo vediamo barcamenarsi tra le richieste contrapposte delle forze politiche, dal fisco alla giustizia. D’altra parte, la fine della legislatura si avvicina, dunque i partiti hanno bisogno di marcare il loro territorio per guadagnare più voti possibili.

    Draghi invece non ha territori da marcare, non ha intenzione di candidarsi, non vuole fare come Monti, non ha deciso cosa farà da grande e non conosce tanto bene l’arte della politica. Così si limita a vivacchiare, aspettando di uscire da palazzo Chigi, logorato dal suo stesso potere.
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