Sarà il Festival di Zlatan. Il verdetto è unanime signori della corte. Sono state finalmente messe a tacere quelle malelingue che si sono permesse di indicare “la spigliata” Matilda De Angelis come la vera rivelazione di questa edizione del Festival. Zlatan è apparso, uno e trino, e ci ha dimostrato in tutta la sua magnificenza che Egli è grande e che con il solo schiocco delle dita è capace di smettere i panni dell’infallibile centravanti per indossare, con proverbiale naturalezza, quelli del comico presentatore tutto fare.
Zlatan “il gigante”, Zlatan che “sa fare spettacolo in campo, ma anche in tv”, Zlatan che “celentaneggia tra culto della personalità e fede in sé stesso”, Zlatan che… Zlatan che due palle. Sono misteriose le dinamiche che portano alla nascita di un intoccabile.
Avete presente quei personaggi pubblici che non importa cosa dicano o quanto clamorosa sia la loro gaffe, là fuori ci sarà sempre un giornalista capace di trovare un’interpretazione o un’angolatura, per quanto fantasiosa, capace di trasformare uno scivolone in una mossa vincente?
Ecco, dopo la prima agghiacciante apparizione di Zlatan Ibrahimovic al Festival eravamo tutti pronti a scommettere che nessuno, neppure l’ultras più irriducibile, sarebbe riuscito a salvare anche solo mezza battuta di quelle due scenette con Amadeus.
Da un lato Zlatan, la musica folkloristica, il nome zirconato sulla giacca e le battute trite e ritrite da bullo di periferia megalomane, dall’altro la bravissima Matilda De Angelis, tristemente relegata al ruolo di valletta, capace con la sua professionalità di rendere quasi dignitoso un tutt’altro che indimenticabile monologo sul bacio.
Se vivessimo in un Paese normale, nelle pagelle del Festival avremmo dovuto leggere di una piacevole rivelazione e di un esperimento, quello di Ibra conduttore, fallito miseramente. E invece…
Invece leggi le pagelle e non puoi che notare che il principale quotidiano italiano abbia scelto per Dio Zlatan un mirabolante 7 e mezzo, con tanto di didascalia che da sola potrebbe garantire l’infermità mentale in un processo per omicidio: riferimenti “all’ennesimo successo”, paragoni senza senso con Celentano, “uno spettacolo televisivo” e tanto altro. Se Zlatan è Dio, la recensione è degna del fondatore di Scientology.
E che dire poi di quel surreale e decisamente inutile collegamento di ieri sera. Sembrava una di quelle telefonate con le nonne durante la quarantena: tu parlavi del meteo e loro ti rispondevano con la ricetta delle lasagne inquadrandoti il lampadario. Evidente anche il terrore nello sguardo di Amadeus, paralizzato all’idea che l’imprevedibile centravanti potesse invitare Fausto Leali a tornare a casa a “fare i riti vodoo”. Chissà se anche ieri per i giornalisti Ibra è stato meglio della “spigliata” Elodie.
Anche perché se la prima sera a qualcuno ha ricordato il molleggiato, è probabile che oggi, vista l’apparizione in remoto, si scomoderanno importanti parallelismi con la Madonna di Fatima. Ma proprio mentre in Italia si discuteva su quale aggettivo dello Zanichelli scomodare per descrivere adeguatamente il debutto televisivo del nuovo Jimmy Fallon svedese, oltreoceano si commentava con tutt’altro entusiasmo una sua recente dichiarazione nei confronti dello sportivo numero uno al mondo: Lebron James.
In un’intervista per la televisione svedese di qualche giorno fa, l’attaccante del Milan si era infatti mostrato critico nei confronti dell’impegno sociale della stella dei Lakers: “Non mi piace quando le persone si servono del proprio “status” per parlare di politica. Limitati a fare quello che sei bravo a fare”. Quindi ricapitoliamo: un calciatore che in piena lotta scudetto abbandona squadra e compagni per andare a “condurre” un festival canoro in compagnia di “Ama” e “Fiore” si sente di consigliare all’atleta più influente del pianeta di limitarsi a giocare a basket. Non fa una piega. Consigli sul tiro da tre ne abbiamo?
Non si è fatta attendere la risposta della superstar dei Lakers. Una risposta elegante ma spietata in cui veniva prima rivendicata la natura apartitica del suo impegno sociale su temi spinosi come l’ineguaglianza, il razzismo sistematico e la soppressione di voto, poi, giusto per mettere le cose in chiaro, Lebron ha anche ricordato come sia curioso che sia proprio Ibrahimovic a criticare il suo impegno nel sociale: “Non era lui nel 2018 a denunciare il razzismo subito nel suo paese per colpa del suo cognome? Sono abbastanza sicuro fosse lui”.
A cosa si riferisce? Ad un’intervista rilasciata a Canal+ in cui Zlatan esprimeva la sua preoccupazione per il “razzismo sommerso” della Svezia. Quello stesso razzismo che anche un calciatore famoso come lui ha dovuto più volte provare sulla propria pelle.
Beh, poteva andare peggio. Per fortuna di Zlatan nessuno ha mostrato a Lebron un’altra sua intervista, questa volta del 2016, in cui rivelava di aver sempre voluto incontrare Muhammad Alì e di come fosse uno dei suoi più grandi idoli “dentro e fuori dal ring”. Chissà cosa avrebbe pensato il grande Alì di quel “limitati a fare quello in cui sei bravo”.
Lui che pur di difendere le proprie idee ha accettato la prigione e la perdita del titolo dei Pesi Massimi. Lui che con quel “stai zitto, pensa a fare il pugile” ha dovuto convivere per gran parte della propria carriera. Parlare di cose che non si conoscono o che ancora peggio non si riescono a capire. Agli intoccabili capita spesso e anche Ibra non fa eccezione. Quindi? Sarà davvero il Festival di Zlatan?
Difficile. Questa narrativa autoreferenziale che a tratti sembra uno scherzo e a volte sembra inquietantemente seria, inizia francamente un po’ a stufare. Specie se si traduce nel parlare a sproposito di cose che non si comprendono. Parlare di sé in terza persona è simpatico se hai 18 anni e sei un giovane talento che cerca di farsi strada nel calcio che conta, ma a quasi 40 anni inizia ad assomigliare terribilmente a un disco rotto. E a Sanremo di quelli ne abbiamo fin troppi.
Forse quello di Zlatan è solo un personaggio. Chissà. Una maschera indossata per così tanto tempo che ormai è diventata parte integrante dell’essere umano. O forse no. Forse si sente davvero, a dispetto dei pochi (importanti) trofei che non è mai riuscito a vincere, il calciatore più forte di tutti i tempi.
Un dio calcistico, ma pur sempre un dio. Sarebbe un affascinante caso di scollamento dalla realtà. L’assoluta incapacità di essere solamente un grande quando dentro di te ti senti il migliore. Beh, caro Ibra, se così fosse il palco dell’Ariston potrebbe essere la perfetta incarnazione di questa vivida illusione.
Immaginati di scendere le famosissime scale, chiudere gli occhi e di vedere tutta la platea acclamare il tuo nome. Non hai ancora detto niente ma in sala stampa vengono già scritti fiumi di parole per acclamarti come il più grande di tutti i tempi, più di Maradona, più di Messi e forse addirittura più di Pippo Baudo. Ti volti alla sinistra e vedi finalmente la Champions League, ti volti alla tua destra e vedi finalmente il pallone d’oro. Poi… Poi apri gli occhi. Davanti a te si palesa una serie sconfinata di seggiolini vuoti. Il silenzio è assordante. Mentre tu sei a fare da spalla ad “Ama” e “Fiore” scopri che la tua squadra rischia di perdere altri due punti nella lotta scudetto.
In sala stampa non scrivono che sei meglio di Messi ma che ti meriti 7 e mezzo perché hai ricordato Celentano. Coraggio Dio Ibra, Potrebbe andare peggio. Potrebbero chiederti di cantare “Io vagabondo” dei Nomadi. Tu rispondigli che preferiresti “Dio è morto”.
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