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    Israele e l’ipocrisia dell’Europa sui crimini di Netanyahu

    Gaza è distrutta. La Cisgiordania in balia della violenza dei coloni. Il Libano bombardato ogni giorno. E domani tocca all’Iran. Ma è bastato qualche attacco alla missione Unifil per risvegliare le coscienze dormienti dei leader europei, che solo oggi scoprono i crimini di Netanyahu

    Di Renzo Parodi
    Pubblicato il 17 Ott. 2024 alle 10:30

    Spari dell’esercito israeliano, senza vittime (solo qualche danno materiale e un po’ di soldati feriti), e all’improvviso l’Europa scopre che Israele viola il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu (mai applicate) e che Netanyahu autorizza i suoi militari a commettere crimini di guerra (tali attacchi “potrebbero” essere considerati proprio così, Crosetto dixit).

    Se serviva la prova dell’ipocrisia tartufesca incistata nei governanti europei di fronte al massacro di Gaza e ora dell’invasione armata di Tsahal del sovrano Stato del Libano, eccoci accontentati. Ipocrisia europea. L’annientamento sistematico della popolazione civile di Gaza va avanti dall’8 ottobre 2023, il giorno dopo il pogrom di Hamas costato la vita a quasi 1.200 ebrei innocenti. La Cisgiordania è una pustola infetta che, pezzo per pezzo, sta cadendo in mano a Netanyahu e ai coloni oltranzisti. Ora il Libano, dove si contano già 1.300 vittime civili. E domani l’Iran.

    Ma è bastato qualche colpo di mortaio israeliano e l’irruzione di alcuni tank nella zona cuscinetto presidiata (si fa per dire) dalle basi della missione Unifil per risvegliare le coscienze dormienti dei leader europei. Hanno scoperto oggi, questi sepolcri imbiancati, i crimini di Netanyahu che vanno avanti da più di un anno.

    Il Libano in ostaggio
    La vendetta indiscriminata di Israele cela, neppure preoccupandosi di farlo, il progetto di costringere l’intera popolazione superstite di Gaza a rifugiarsi altrove, magari in Egitto, nel confinante deserto del Sinai, e a liberare aree preziose dove la ricostruzione – a cui prima o poi si dovrà provvedere – frutterà miliardi ai fortunati incaricati di realizzarla. Sotto la bandiera israeliana, s’intende. Perché quel brandello martoriato di terra si affaccia sul Mediterraneo e potrà diventare un grande resort turistico-immobiliare, dalle cui coste Israele potrà trivellare in mare e sfruttare i giacimenti di petrolio sottomarini. Pancia mia fatti capanna!

    Oh sì, l’Europa si riunisce e condanna Israele che ha osato attaccare i soldati dell’Onu (l’Italia in Libano ha il contingente più numeroso, oltre mille uomini e donne). Giorgia Meloni gonfia il petto e dice che tutto ciò è “inaccettabile” e che le vite dei nostri soldati non debbono essere minacciate. Lo ha detto al telefono a Netanyahu, che non gradisce interferenze e aveva invitato, pardon, il contingente Onu a togliere le tende e a trasferirsi a nord Israele per avere mano libera contro Hezbollah.

    “Inaccettabile”, capite? Tutto qui. Non si parla invece di smettere l’invio delle armi che Israele adopera per sterminare i palestinesi e ora anche i libanesi, colpevoli, i cittadini dello Stato dei Cedri, di non liberarsi dei fanatici di Hezbollah in cerca del martirio, come ha ingiunto loro Netanyahu. “Altrimenti farete la fine di Gaza”. 

    Il Libano è ostaggio degli estremisti sciiti che non si limitano a fare la guerra ad Israele, sostengono i libanesi prigionieri di una spaventosa crisi economica, finanziano quel po’ di esercito che è rimasto in piedi, costruiscono scuole e ospedali e assicurano i livelli minimi di sussistenza di un Paese altrimenti condannato al default.   

    Il contingente Unifil aveva, in base alla risoluzione 1701 dell’Onu (anno 2006), ee ha tuttora il compito di disarmare i combattenti di Hezbollah annidati nella sottile striscia-cuscinetto che si affaccia sul confine israelo-libanese. Ma come potrebbe eseguire il mandato dell’Onu se non ingaggiando furibondi combattimenti con i miliziani sciiti? Un’eventualità accuratamente scansata per la disperazione dei libanesi che abitano le zone a ridosso del confine, ora diventati bersaglio dei cannoneggiamenti e delle bombe dell’aviazione di Tel Aviv. Ha senso ricordarsi di quella missione mai portata a termine proprio ora che sarebbe indispensabile disinnescare la miccia che ha provocato l’intervento militare israeliano contro Beirut. Ipocrisia, appunto.

    L’inferno di Gaza e della Cisgiordania
    Per un anno la vendetta dello stato di Israele si è abbattuta indiscriminatamente sulle popolazioni civili della Striscia di Gaza, due  milioni e mezzo di persone ammassate in un fazzoletto di terra di 35 chilometri quadrati. I bombardamenti dei jet con la stella di David e le cannonate dei tank Merkava non hanno risparmiato i bambini – 25mila sono stati uccisi in dodici mesi di guerra, altre migliaia sono rimasti mutilati, orfani e soffrono i morsi spaventosi della fame – perché Netanyhau ha ordinato di portare allo stremo i palestinesi di Gaza, bloccando ai valichi fra Israele e la Striscia i convogli umanitari che trasportano cibo, acqua, medicinali e altri generi di conforto. Ieri c’è stato un parziale via libera agli aiuti ma la situazione nella Striscia resta disperata. La gente, e i bambini prima di tutti, muoiono di stenti, di malattie non curate, di privazioni e l’inverno si avvicina. Assieme ai civili le bombe massacrano gli operatori umanitari che a prezzo della vita restano sul campo. Croce Rossa, organizzazioni umanitarie non governative, volontari, Unhcr (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, messa al bando da Tel Aviv) ostinatamente si rifiutano di abbandonare quella povera gente. E pagano con la vita il loro coraggio. 

    Il progetto di sterminio della popolazione della Striscia va avanti. Il 70 per cento degli edifici di Gaza è stato raso al suolo nella totale indifferenza del presunto, molto presunto mondo libero, civile, democratico. Ossia noi occidentali, Usa in testa. I rifugiati sono costretti dagli israeliani a spostarsi continuamente da nord a sud e viceversa dalle città e dai villaggi della Striscia (ora tocca alla gente della zona nord). Ospitati in tendopoli prive di servizi, bruciano carbonizzati dalle bombe sganciate dall’aviazione israeliana che non risparmiano scuole e ospedali, perché – è la squallida giustificazione dei vertici militari israeliani – “sono covi di Hamas o di Hezbollah”. 

    In Cisgiordania prosegue manu militari l’espropriazione di villaggi abitati dai palestinesi da parte dei coloni ultraortodossi israeliani. Al grido di: “Questa terra è nostra!”, impugnando kalashnikov e fucili automatici, questi fanatici spingono via gli abitanti palestinesi minacciandoli di morte, entrano nelle case, si impossessano dei terreni coltivati. L’esercito israeliano lascia fare, non da oggi ma oggi più sicuro di non provocare reazioni significative neppure sul fronte politico internazionale. La religione brandita come un’arma di sopraffazione e di violenza. Papa Francesco non si stanca di denunciarlo anche a proposito della guerra in Ucraina.

    Occhio per occhio
    Nel Libano meridionale quasi mezzo milione di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e rifugiarsi nel nord del Paese, molti di loro sono rifugiati siriani fuggiti alla guerra di Bashar al-Assad, il dittatore di Damasco appoggiato dalla Russia. In una speculare vicenda dell’orrore alcune decine di migliaia di ebrei residenti in Galilea, al confine col Libano, sono stati fatti evacuare da Netanyahu, scampando ai missili che Hezbollah scarica quotidianamente sulla regione. Lo showdown è in via di sviluppo. Si attende la rappresaglia israeliana sull’Iran colpevole della pioggia di missili scagliata su Israele. Un girotondo di attacchi, risposte armate, rappresaglie, un’escalation militare incontrollata che travolgerà tutti. L’obiettivo strategico di Israele, è chiaro: l’eliminazione del regime iraniano degli Ayatollah e il ripristino di un ordine “israeliano” nella regione mediorientale. Con la benedizione degli Stati Uniti, ovviamente. E rieccoci all’ipocrisia occidentale.

    Francia e Spagna hanno cessato l’invio di armi a Israele, che peraltro continua a riceverne di più sofisticate e letali da Washington. L’Italia non comunica la propria decisione. Manda ancora armi oppure no? Mistero. L’appello di Macron all’Europa di cessare di armare Israele di fatto è caduto nel vuoto. La Germania, ha chiarito il cancelliere Scholz, continuerà ad inviare armi. L’eterno, incancellabile senso di colpa tedesco per l’Olocausto finisce per alimentare il genocidio palestinese. I palestinesi, già. Non interessano a nessuno, ecco l’estrema ipocrisia mascherata da tante vuote parole. Non interessano i palestinesi, nemmeno ai Paesi arabi.

    Senza scomodare il Settembre Nero del 1970 (migliaia di palestinesi sterminati in Giordania) basta osservare il parterre che si è riunito a Bruxelles per decidere la risposta a Tel Aviv dopo l’aggressione ai Caschi blu in Libano. Era stato invitato anche Mohammed bin Salman, il principe reggente dell’Arabia Saudita, indicato come il mandante dell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, il generoso (80mila euro a conferenza) amico di Matteo Renzi, che lo aveva incoronato come l’artefice del “Rinascimento saudita”. Il fronte sunnita sarebbe lieto di veder messo fuori combattimento il regime sciita di Teheran. E pazienza se l’operazione Iran costerà la vita ad altre migliaia di innocenti. La guerra non si fa lanciando i fiori. Giusto?

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