Tante differenze sono emerse tra la visione del Movimento Cinque Stelle del suo fondatore Beppe Grillo e quella dell’ex premier Giuseppe Conte, ma nessuna di queste ha riguardato le prospettive politiche future di quella che è stata la forza politica più votata alle elezioni del 2018. Statuto, forma partito, consiglio nazionale: tecnicismi, fondamentali per il funzionamento di un movimento politico, ma nessuna parola d’ordine, nessun contenuto su cui Conte e Grillo abbiano avuto un contrasto di visioni.
E se, come sembra, i due arriveranno a un punto di non ritorno, ciò non avverrebbe intorno a un programma politico o ideali non conciliabili, col risultato che agli occhi del pubblico si tratterà solo di una lotta per il controllo dei Cinque Stelle tra Conte e Grillo, con molti che si schiereranno per l’uno o per l’altro con ragionamenti legati principalmente alla popolarità che ciascuno dei due porterebbe al movimento attraverso la sua figura.
Non è in alcun modo una dinamica nuova per il nostro Paese, che pur avendo fama internazionale di essere governato da una “partitocrazia” che mette mano anche dove in genere si dovrebbe limitare a normare, assiste da tempo a un fenomeno in cui i partiti si svuotano del contenuto politico e divengono sempre più simili a contenitori di consenso personale.
E’ il principio ben spiegato da Mauro Calise nel suo “Il partito personale”, secondo cui venuti meno i partiti della Prima Repubblica è subentrata una ricerca della figura forte e salvifica che incarni il sentimento dei cittadini e possa guidare il Paese. Ma per assecondare questa sensibilità, i partiti per forza di cose hanno in gran parte perso il loro ruolo di comunità, così come di riferimento ideologico, divenendo spesso a tutti gli effetti comitati di supporter dell’uomo forte di turno.
Questo fenomeno ha come simbolico punto di partenza la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia, un partito la cui esistenza non può in alcun modo prescindere dall’attività politica del Cavaliere. Non è un caso che la scelta del “delfino” di Berlusconi negli anni abbia portato a una lista che nel tempo si è allungata composta dai nomi più disparati, dall’ex candidato sindaco di Milano Stefano Parisi al generale Leonardo Gallitelli, fino all’imprenditore Gianpiero Samorì. E l’unica volta in cui il passaggio di consegne di quello che all’epoca si chiamava PdL sembrava vicino ad andare in porto, il leader disse che il delfino del momento non aveva il quid. Non è poi così diverso a ciò che vediamo oggi, e infatti diversi osservatori hanno rivisto nello scontro Grillo-Conte quello che fu tra Berlusconi e Alfano.
E così, finita la Prima Repubblica, le ideologie sono uscite dai partiti e gli uomini forti del momento hanno potuto usufruire di ciò che rimaneva delle strutture politiche per lanciarsi nello scenario politico, divenendo principalmente contenitori, ma non più di idee. E la lotta tra Grillo e Conte rischia di essere il più recente capitolo di questa epopea.