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    La grande sfida di Trump all’Unione europea (di Ignazio Marino)

    Credit: AP Photo

    L'assenza di qualsiasi negoziato autonomo per risolvere almeno le guerre più vicine. Il rallentamento della transizione ecologica. E la deportazione degli immigrati promessa dalle destre. Per resistere al ritorno di The Donald alla Casa bianca, l’Ue deve ripartire dai suoi valori fondanti

    Di Ignazio Marino
    Pubblicato il 3 Dic. 2024 alle 09:47 Aggiornato il 3 Dic. 2024 alle 16:35

    Donald Trump ha vinto con ampio margine le elezioni americane per una serie di ragioni che è opportuno analizzare con serietà e diligenza. La nuova amministrazione Usa produrrà conseguenze dirette nel nostro continente e, al di là dell’entusiasmo delle destre e dell’annichilire delle sinistre, vi sono questioni che avrebbero dovuto essere affrontate da molto tempo e che oggi hanno assunto un carattere di urgenza drammatica. Cercherò di illustrarle, ma prima vorrei scrivere la mia interpretazione sul voto degli americani.

    Incubo americano
    Mi sono trasferito per la prima volta negli Usa alla fine degli anni ’80 e in totale ho vissuto in America circa vent’anni. Il Paese è cambiato profondamente nell’ultimo terzo di secolo: da aperto e accogliente per chiunque arrivasse a perseguire il sogno americano, si è progressivamente chiuso, divenendo a tratti xenofobico. Negli anni ’90 nessuno si chiedeva da quale parte del mondo provenisse un candidato a una posizione di lavoro: tutti si chiedevano semplicemente se fosse il migliore per quella posizione. Questo ha consentito una crescita e una innovazione senza uguali nel mondo e anche l’affermarsi, assieme ai diritti sociali, dei diritti civili. Tutti ne siamo stati positivamente contaminati riflettendo su temi come il diritto al matrimonio delle coppie dello stesso sesso o al diritto di cittadinanza per chi nasce nel luogo che chiama casa. Si è anche perso il sentimento di discriminazione per chi parla con un accento straniero e, anzi, è cresciuto l’interesse per il modo di vivere in altri Paesi, soprattutto europei. Un dato lo dimostra in modo netto. Nel 1985, meno del 20% degli americani possedeva un passaporto, nel 2019 il 42% lo aveva e utilizzava. La grave crisi finanziaria scoppiata nell’agosto del 2007 (in seguito al fallimento della società di investimento Lehman Brothers) e la recessione che ne è derivata, ha determinato una contrazione della produzione e un crollo vertiginoso del Prodotto interno lordo.

    Nonostante la parziale ripresa economica del 2010, la crisi finanziaria degli Stati Uniti ha rappresentato un momento di arresto nel sentire positivo e ottimista del popolo americano. Io stesso ne rimasi sorpreso perché non avevo mai percepito la paura del futuro che quegli eventi economici determinarono. Tutto venne superato e dimenticato quando la produzione e la ricchezza del Paese ripresero ma qualcosa rimase dentro l’animo: una sottile incertezza e il desiderio di proteggere il proprio, quello che Verga avrebbe definito “la roba”. È diminuita la generosità e si è iniziato a valutare le persone non solo per le capacità ma anche per la nazionalità. Un altro evento ha impresso un ulteriore cambiamento: la drammatica e violenta uccisione di George Floyd il 25 maggio 2020. Il movimento “Black Lives Matter” ha obbligato i bianchi a fare i conti con la discriminazione e la violenza nei confronti dei neri e degli asiatici presenti nella società. Immediatamente, tutte le grandi aziende hanno introdotto nei propri reparti di risorse umane concetti come diversità e uguaglianza. Per le assunzioni della classe dirigente sono nate agenzie che hanno il compito di selezionare i candidati prioritariamente sulla base della “diversity”. Tutto questo ha iniziato a generare una silente insofferenza nei bianchi, anche nelle classi sociali con titoli di studio più elevati.

    Inoltre, non possiamo nasconderlo, nonostante la larghissima condivisione, dal 2017 a oggi, per i valori di movimenti come il “Me too”, il popolo americano non è ancora psicologicamente pronto a eleggere come “Commander-in-Chief” una donna. È triste, antistorico e fa arrabbiare ma chi conosce quel Paese sa che è così.

    Perché è importante riflettere su tutti questi fattori? Perché essi hanno condotto alla inevitabile vittoria di Donald Trump, specialmente dopo l’attentato in Pennsylvania al quale è sopravvissuto per pura fortuna. L’incomprensibile leggerezza e gli errori dei servizi segreti americani, che non sono riusciti a proteggere Trump durante un comizio elettorale, hanno impresso una svolta nel sentimento della nazione. A quel punto egli è diventato un simbolo per coloro che si sentono lasciati indietro e che ne addossano la responsabilità alla attuale amministrazione. I quattro anni ormai conclusi dell’amministrazione Biden sono stati piagati dal post-pandemia, da un’inflazione che ha portato a un aumento del 9% del prezzo dei beni essenziali, il tasso sui mutui si è improvvisamente alzato dall’1 al 6%, al punto che molti hanno perduto la proprietà della propria casa perché il costo del mutuo è arrivato a mangiarsi metà dello stipendio. Tutto questo non è stato determinato dall’amministrazione Biden – che anzi ha messo in atto una serie di misure che hanno consentito agli Usa di rimanere la prima economia del mondo – ma la percezione da parte delle persone è stata profondamente differente e il partito democratico non è riuscito a cogliere che la maggior parte del popolo americano iniziava a preoccuparsi più dei propri diritti sociali e assai meno di quelli civili.

    A questo si è aggiunta una campagna elettorale in cui Trump ha quotidianamente affermato che la colpa della fragilità attuale dell’America era tutta dei democratici e di Biden, che spendevano miliardi di dollari per inviare armi in Ucraina per una guerra che egli era in grado di fermare in poche settimane, semplicemente parlando con il suo amico Putin. E, come conseguenza, avrebbe potuto tagliare le tasse, arrivando persino a promettere di eliminare ogni tassa federale (la nostra Irpef) per tutti i pensionati. Non poteva andare diversamente.

    Votati alle armi
    Oggi tutto questo ha un riflesso pesante sull’Europa ma temo che ciò non sia stato colto con il senso di urgenza necessario dalla leadership dell’Unione europea. Trovo inspiegabile il fatto che Ursula von der Leyen negli ultimi mille giorni non abbia mai fatto un vero tentativo di invitare a un tavolo di trattativa chi guida le potenze principali della Terra: questa incapacità nell’agire rischia di condannare l’Europa a essere insignificante nella geopolitica mondiale.

    I contatti telefonici tra Trump e Putin sono uno schiaffo in faccia per noi europei. L’esclusione dell’Europa dal possibile avvio dei negoziati è pericolosa sia per la sicurezza del nostro continente, sia per la stabilità globale. L’Ue deve essere presente e dimostrare unità e risolutezza. Non possiamo restare indifferenti mentre i nostri valori di libertà e democrazia vengono calpestati. Ogni nostra azione deve rispecchiare il coraggio e la resistenza del popolo ucraino. Se non avvieremo un’iniziativa diplomatica per giungere almeno a un cessate il fuoco in Ucraina e in Medio Oriente, gli Usa lo faranno per noi ma alle condizioni che essi determineranno. Condizioni che senza dubbio saranno legate più agli interessi economici degli Stati Uniti che alla aspirazione di portare la pace in territori lontani dai confini americani.

    Anche l’ultima settimana di novembre 2024 è stata motivo di ulteriore scoraggiamento e disappunto. La Commissione europea di Ursula von der Leyen è stata votata con il numero più basso di sempre: 370 voti su 720, 54% del totale, un risultato che se confrontato con il 72% di Barroso nel 2004 e l’87% di Prodi nel 1999, spiega con la durezza dei numeri la debolezza con cui Ursula von der Leyen inizia il suo nuovo quinquennio. Una Commissione che ha avuto la maggioranza anche grazie ai voti degli parlamentari europei di Fratelli d’Italia, spostando decisamente a destra la visione e, molto probabilmente, gli obiettivi da raggiungere.

    A questo si aggiunge il fatto che solo una minoranza, alla quale appartengo, condivide l’idea che sia impossibile portare la Russia alla resa sul campo di battaglia. L’unico percorso per fermare la distruzione dell’Ucraina e l’uccisione di centinaia di migliaia di vite è avviare un negoziato, chiamando alle proprie responsabilità gli altri potenti della Terra e imporne le ragioni, qui sì, con la forza, ma della diplomazia, sulla violenza sanguinaria e imperialista di Putin.

    Il giorno successivo al voto che ha permesso l’insediamento della nuova Commissione, l’Europarlamento ha approvato un’altra risoluzione sull’Ucraina e il conflitto con la Russia, al quale adesso partecipano migliaia di soldati nordcoreani, a riprova dell’impegno congiunto dei regimi di Mosca e Pyonyang.

    Ho votato contro questa nuova risoluzione non solo perché esprimeva rammarico per il tentativo di un leader europeo, il cancelliere tedesco Scholz, di aprire un dialogo con Putin parlandogli a lungo al telefono, ma soprattutto per il fatto che essa è una risoluzione che vede nell’inasprimento del conflitto la soluzione alla guerra in corso. In essa, sono contenute richieste alla Commissione europea di fornire all’Ucraina diversi tipi di altri armamenti, comprese tipologie di missili adatti a colpire il territorio russo. Ritengo ingiustificabile e assolutamente censurabile il voto favorevole a quella risoluzione di quasi tutti gli europarlamentari del Partito democratico che l’hanno votata insieme ai colleghi di Fratelli d’Italia. Sono certo che la maggioranza degli elettori del Pd dissenta da questa posizione espressa da chi dovrebbe rappresentarli in Europa e mi chiedo che cosa guidi quel partito a prendere decisioni così sbagliate e lontane dal sentire del proprio elettorato. Elly Schlein ha mai aperto un dibattito in Italia, all’interno delle sezioni e degli iscritti del Pd su questi temi? No, non lo ha fatto perché da politica scaltra è consapevole che non avrebbe il sostegno del popolo che ambisce a guidare. Ma allora perché vota congiuntamente a un partito che nel simbolo conserva orgogliosamente la fiamma tricolore della Repubblica di Salò? Perché ha sostenuto con i propri voti la candidatura di Raffaele Fitto, membro di quel partito, alla vicepresidenza della Commissione europea, sapendo che, come sta già accadendo, le decisioni che prenderà cercheranno il sostegno nei Popolari e nelle destre e non nel centrosinistra? Opposizione in Italia e consociativismo in Europa, sperando che gli elettori non se ne accorgano.

    Sul tema drammatico delle guerre l’Europa dovrebbe elaborare una strategia comune anche considerando l’appartenenza alla Nato. Fondata come associazione militare intergovernativa nel 1949, riunisce oggi ventinove Paesi europei, il Canada e gli Stati Uniti. Già nel suo primo mandato presidenziale Trump minacciò di uscirne per la parziale insolvenza di alcuni Stati europei. Ha ripetuto questa minaccia più volte addirittura affermando che per quanto lo riguardava Putin avrebbe potuto fare ciò che voleva in Europa. Dopo l’elezione ha incaricato un generale di avviare un dialogo con Mosca per la risoluzione del conflitto in Ucraina, accompagnando la nomina con la frase: “Pace attraverso la forza”. Anche in quest’ultima circostanza Trump ha agito senza neanche porsi l’interrogativo di un confronto con Ursula von der Leyen. Al momento, l’Europa per la nuova amministrazione Usa non è un interlocutore da considerare, neanche nel disegnare un negoziato di pace sul suolo dello stesso continente europeo.

    Ue, Quo vadis?
    Benché sia di gran lunga la più drammatica, la questione delle guerre non è l’unica che deve preoccupare gli europei in seguito all’esito delle elezioni presidenziali negli Usa. Vi sono anche altri temi centrali per il nostro futuro, come i cambiamenti climatici e l’immigrazione. Su entrambi la posizione del presidente Trump è netta: i cambiamenti climatici non esistono e non si deve fermare l’utilizzo del fossile per la produzione d’energia, mentre l’immigrazione deve essere fermata in ogni modo anche, come ha affermato, con la deportazione di massa di milioni di persone.

    Due posizioni che stanno aumentando il vigore delle forze più conservatrici nel continente europeo. Il recente voto sulla cosiddetta deforestazione rischia di rallentare pericolosamente il cammino avviato negli ultimi cinque anni sulla transizione ecologica per evitare il surriscaldamento del pianeta che porterebbe alla estinzione dell’homo sapiens. E le posizioni xenofobe e conservatrici di Trump sull’immigrazione hanno immediatamente suscitato il giubilo dei governi di destra del nostro continente, come ha dimostrato la volontà di Giorgia Meloni di deportare gli immigrati in Albania, al di fuori del territorio dell’Ue, contro i principi che abbiamo sottoscritto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Quindi, ricapitoliamo, una Commissione insediata il 1° dicembre 2024 con il minimo storico dei voti e con l’aiuto degli europarlamentari di origine post-fascista, l’assenza di qualsiasi tentativo di negoziato per giungere al cessate il fuoco nelle guerre geograficamente più vicine (quelle più lontane vengono ignorate), rallentamento dei processi di transizione ecologica, deportazione degli immigrati.

    Europa dove stai andando? I valori che portarono alla firma del Trattato istitutivo dell’Unione europea, entrato in vigore nel 1993, devono guidarci sebbene vadano integrati con nuove idee per affrontare sfide allora quasi sconosciute come le migrazioni di milioni di persone e il riscaldamento del pianeta. Una guerra sanguinosa c’era anche allora a causa della crisi della società jugoslava, profondamente disgregata etnicamente, religiosamente e politicamente. E anche allora fu decisivo l’intervento degli Stati Uniti perché le diverse nazioni dell’Unione agirono spesso in modo non coordinato e senza la sufficiente autorevolezza. Per questo oggi occorre un passo ulteriore: la rinuncia agli eserciti nazionali per costituire le forze armate dell’Unione europea. A me piacerebbe un mondo senza armi ma ritengo che oggi sia utopistico immaginarlo, mentre un esercito europeo e la rinuncia a tutti gli armamenti nucleari, come richiesto dal Trattato sul divieto delle armi nucleari votato dall’Onu nel 2017, possono essere obiettivi raggiungibili.

    Occorre, una presa di coscienza collettiva, la capacità di allontanarsi dai propri egoismi e dal proprio interesse personale o nazionale per ritornare ai valori che ci hanno permesso di ricostruire e unire il Vecchio continente dopo la Seconda guerra mondiale. Governare questi profondi cambiamenti non può significare perdere l’anima bensì costruire una vera alternativa alla follia che sembra invadere il mondo. Se non saremo capaci di farlo, confrontandoci con umiltà e determinazione rispetto a queste sfide epocali, non servirà a nulla cercare di sottrarre il potere alle destre.

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