Nel Discorso della servitù volontaria – l’ultimo libro che mi regalò Gianroberto Casaleggio, Étienne de La Boétie, riferendosi al tiranno scrive: «Dove mai prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se non foste voi a fornirglieli? Come disporrebbe mai di tante mani per colpirvi, se non le prendesse da voi? E i piedi con cui calpesta le vostre città, dove mai li troverebbe, se non fossero i vostri? Come mai farebbe ad avere potere su di voi, se non gli provenisse da voi stessi? Come oserebbe mai attaccarvi, se non d’intesa con voi? Cosa potrebbe mai farvi, se voi non foste ricettatori del bandito che vi deruba, complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?».
In Italia oggigiorno vi è un’urgenza che supera tutte le altre. Quale? Raggiungere una tregua, firmare un armistizio tra disperati per far sì che cessi questa assurda e controproducente guerra tra poveri.
Il reddito di cittadinanza (migliorabile come ogni altra cosa) costa infinitamente meno di quel che ci è costato tenere in vita MPS, una banca spolpata dalla politica. Ma su cosa si litiga nel nostro Paese? Sul reddito di cittadinanza. Il capolavoro dell’establishment è spingere i cittadini a prendersela tra loro al posto di individuare i reali responsabili dell’aumento delle diseguaglianze.
Nell’epoca del governo dell’assembramento il quale, data l’assenza di opposizione, si trasforma in un puerile quanto pericoloso regimetto, succedono cose strane.
Succede anche che un portuale con un tavolino – le cui idee possono essere condivisibili o meno – venga cacciato da Piazza del Popolo, la stessa piazza dalla quale, alcune settimane fa, partì l’annunciatissimo assalto alla CGIL da parte dei fascistelli di Forza Nuova. Assalto permesso dall’indolenza del Ministro Lamorgese. Evidentemente un banchetto fa più paura degli assalti squadristi, o meglio, non è funzionale quanto questi ultimi.
Succede che uno dei principali editorialisti del Corriere della Sera, Paolo Mieli, firmi un pezzo in cui scrive: “E se decidessimo di non votare mai più?”. Come a dire, “Draghi piace a tutti ed il suo governo è il migliore possibile, perché rischiare che libere elezioni possano rovinar l’idillio?”. Una provocazione dirà qualcuno. Forse, ma pericolosissima anche perché c’è chi certe elucubrazioni poi le prende alla lettera.
Giancarlo Giorgetti, l’uomo di sistema della Lega, filo-UE, atlantista, più draghiano di Draghi e grande amico di Confindustria, auspica che Draghi continui a guidare l’Italia anche dal Quirinale. Un semi-presidenzialismo di fatto che viola la Costituzione e che uccide definitivamente una Repubblica parlamentare già in stato comatoso per via della pavidità di molti parlamentari interessati più ad arrivare alla pensione che alle conseguenze della pandemia.
Nel regimetto succede che chiunque si faccia un paio di domande su vaccini, numero di dosi, interessi delle case farmaceutiche o GP per i lavoratori, venga trattato da cavernicolo o terrappiattista. Anche Sigfrido Ranucci e Report finiscono nel tritacarne mediatico. Ranucci viene attaccato dai renziani, dai berlusconiani, dai piddini. Il tutto per aver osato svelare alcune contraddizioni della galassia BigPharma. D’altronde BigPharma è potente. E’ legata ai fondi di investimento che a loro volta sono legati al sistema finanziario, ai social network, all’industria bellica. Chi disturba il manovratore va manganellato. Colpirne uno per educarne cento e per evitare che milioni vengano educati al dubbio.
Nell’era dei migliori succede questo e altro.
Succede che uno come Berlusconi sogni il Quirinale senza che ciò provochi una reazione d’orgoglio neppure tra le fila di quel partito che proprio l’ex-cavaliere riteneva un agglomerato di “pulitori di cessi”. Quando gli viene domandato di B. Presidente della Repubblica i dirigenti del Movimento glissano, sorvolano, fanno gli istituzionali. Eppure basterebbe rammentare la storia. Berlusconi è un pregiudicato per frode fiscale nonché finanziatore di Cosa nostra ma pare che i miei ex-colleghi siano vittime di amnesia collettiva, o forse “amnesia interessata”. Magari c’è chi sogna di governare ancora con Forza Italia anche dopo le elezioni del 2023.
Nell’epoca del regimetto Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, viene definitivamente riabilitato. Fa politica, organizza il grande centro, rilascia interviste da statista sul Foglio ed il Corriere della sera vende una pagina ai suoi amici desiderosi di fargli gli auguri di compleanno.
Ma ogni regimetto che si rispetti ha bisogno di dividere i popoli. O quanto meno ha la necessità di fargli credere che vi siano al suo interno divisioni, lotte politiche, schieramenti, democrazia, insomma. Così va letto il contrasto manicheo tra chi ha votato contro e chi a favore al Ddl Zan. Le grida di giubilo, le esultanze da stadio che hanno caratterizzato la “curva” del centro destra sono state indecorose. Altrettanto indecorosi, tuttavia, sono stati gli applausi, stavolta bipartisan, scattati al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato all’unanimità la finanziaria con ritorno della legge Fornero annessa. Prima si insultano a favor di telecamera, poi esultano davanti a Draghi. Oltretutto per la compressione dei diritti dei pensionati.
Poi ci si stupisce che la gente non creda più nella democrazia. Dalla pandemia dovevamo uscire migliori, sono, al contrario, usciti i “migliori” ed è scoppiata l’ennesima guerra tra poveri che giova solo a chi non la combatte.
Leggi l'articolo originale su TPI.it