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    Nel Governo di Giorgia Meloni ci sono gli stessi disvalori del Fascismo

    Credit: AGF
    Di Renzo Parodi
    Pubblicato il 23 Apr. 2024 alle 12:40 Aggiornato il 24 Mag. 2024 alle 10:03

    È in voga l’opinione abbastanza mainstream che non è il caso di rievocare il Fascismo nelle attuali contingenze politiche in Italia, perché quel movimento politico è nato e morto con Benito Mussolini. Fra i più solerti sostenitori di questa tesi si segnalano, fra gli altri, giornalisti insigni come Paolo Mieli e Marco Travaglio, i quali negano l’esistenza di una minaccia di stampo fascista alla democrazia italiana. Occorre chiarire alcuni punti e dissipare equivoci più o meno volontari.

    È ovvio che non si ripresenteranno le adunate oceaniche in camicia nera, i discorsi littori dal balcone, le chiamate alle armi che contraddistinsero il Ventennio. In un secolo il mondo è stato stravolto dall’accelerazione portentosa delle scoperte scientifiche che hanno cambiato radicalmente il comune sentire e le sensibilità della gente.

    Due guerre mondiali hanno segnato irrimediabilmente la sorte del pianeta, alle prese oggi con emergenze sconosciute – e purtroppo anche con drammi storici ben noti come le guerre – all’epoca in cui il fascismo mussoliniano arrivò al potere.

    Nessuno sano di mente immagina di rivedere nelle strade una seconda marcia su Roma o di veder spuntare Giorgia Meloni in camicia nera che arringa le folle dal balcone di palazzo Chigi. Le vuote coreografie del fascismo storico, funzionali al messaggio imposto dal duce, sono consegnate definitivamente alla Storia.

    Non lo è altrettanto purtroppo il complesso di disvalori e di pratiche antidemocratiche, né l’armamentario ideologico – nutrito di riti e sermoni, cerimonie e commemorazioni – sul quale Mussolini costruì il consenso attorno al regime e dentro il quale generazioni di italiani erano cresciute.

    Populismo (Mussolini ne fu l’inventore e il massimo interprete), nazionalismo, sovranismo mescolati a pulsioni autoritarie e aggressive e alla violenza come pratica di governo unita alla repressione organizzata del dissenso (con corollario di migliaia di epurazioni, condanne al carcere e al confino inflitte agli oppositori politici) connotarono il regime. Di tutto questo arsenale antidemocratico cosa resta oggi nell’Italia a guida Giorgia Meloni?

    Le tracce mi sembrano chiare ed evidenti. Pur nel quadro storico-politico che non assomiglia a quello che frantumò la fragile democrazia italiana liberale del primo Dopoguerra, persistono elementi distintivi di quello che fu il fascismo.

    Il caso freschissimo della censura imposta allo scrittore Antoni Scurati, colpevole agli occhi della maggioranza di governo di difendere i valori dell’antifascismo e di aver osato inchiodare la premier Meloni al suo consolidato rifiuto di proclamarsi antifascista, è l’ultimo di molti soprassalti reazionari che hanno connotato il governo dell’ultradestra italiana.

    Berlusconi col suo decreto bulgaro mise alla porta della Rai Santoro, Luttazzi e Biagi. Gli accoliti meloniani, inciampando in una pietra assai aguzza, hanno cancellato l’intervento di Scurati su Rai3 costringendo una Meloni furiosa per la loro grossolana gaffe ad una frettolosa e goffa retromarcia.

    “Ma quale censura – ha dettato Giorgia – noi che le censure le abbiamo subite per decenni non censuriamo nessuno, neppure gli avversari politici”.

    Falsi a parte – non c’è stata alcuna disputa sul compenso di Scurati, come sostenuto dal governo; è stata la stessa azienda, in un documento interno che sarebbe dovuto restare riservato, a parlare di “ragioni editoriali” alla base del siluro allo scrittore napoletano – l’effetto ottenuto è stato esattamente l’opposto di quello sperato dal governo.

    Anziché silenziare l’intervento di Scurati, le parole nette dell’autore di “M. L’uomo del secolo” sono dilagate sulle emittenti televisive concorrenti della Rai, hanno riempito le pagine dei giornali e sono rimbalzate al di là dei confini patrii, incendiando polemiche roventi e provocando l’intervento di Bruxelles. Una Caporetto politico-mediatica che ha avuto se non altro il merito di riportare al centro dell’attenzione il tema del fascismo “che non esiste più”.

    Sotto mentite spoglie, pudicamente ammantato di politically correct, il fascismo esiste ancora, eccome! L’occupazione manu militari della Rai, ossia del servizio pubblico, avviata dalla legge Gasparri, rafforzata dalla riforma dell’allora segretario del Pd e premier Matteo Renzi, trova nell’esecutivo Meloni il suo punto più alto e perfetto.

    Non più lottizzazione fra i partiti ma sottomissione diretta all’esecutivo, senza neppure la mediazione (imperfetta ma meglio che nulla) del Parlamento. Neppure Berlusconi, proprietario di tre reti televisive ed occupante abusivo delle tre reti Rai, era arrivato a tanto.

    Il progetto è chiaro. Chi controlla i media controlla gli elettori, già fiaccati da una legge elettorale che di fatto li priva della possibilità reale di scegliere i suoi rappresentanti. Non potendo immaginare un golpe, il pensiero unico è essenziale per la conservazione del potere. Meloni ne ha preso buona nota.

    Ribadisco. Il fascismo è stato un coacervo violenza, fisica e spirituale, che ha costruito sé stesso sulla negazione dei diritti civili fondamentali (libertà di parola, di pensiero, di espressione, di voto), della libertà di associazione politica. Si è nutrito di un sovranismo spinto all’eccesso, di prevaricazione istituzionalizzata a danno di chiunque osteggiasse la dottrina mussoliniana, di repressione sistematica di ogni voce ostile al regime, di disprezzo conclamato per la democrazia, di ostracismo verso i diversi, si trattasse degli oppositori politici – marchiati come nemici dello Stato – e più tardi degli ebrei e degli antifascisti tout court.

    Sintomi di un fascismo reviviscente si sono manifestati con sempre maggiore evidenza nell’anno e mezzo di governo meloniano. Malintesa italianità da difendere ad ogni costo e su qualunque fronte, talvolta incappando in ridicoli strafalcioni: la campagna del formaggio inaugurata da quel brillante intellettuale del ministro dell’agricoltura, il quale si è appena spinto a denunciare l’antifascismo come fabbrica di morte.

    I manganelli adoperati con il plauso della premier contro inermi giovanissimi studenti di Pisa e della Sapienza romana che avevano osato scendere in strada per protestare come la Costituzione consente: pacificamente e senz’armi. Demolizione sistematica delle guarentigie di legge (un inedito assoluto da parte di un partito erede del Msi che ebbe la sua parola d‘ordine nello slogan: legge ed ordine) affidata ad un ex pm rivestito dei panni del Guardasigilli, preoccupato di sottrarre quanti più strumenti investigativi possibili e di coartare la libertà di azione delle procure.

    Ancor più allarmante, il progetto di legge sul premierato svuoterebbe di contenuti la Costituzione repubblicana e antifascista e consegnerebbe al governo (nella speranza dei promotori, a Giorgia Meloni) il controllo sul Parlamento evirato e dunque sul Paese. Relegando il presidente della Repubblica al ruolo di notaio.

    Via via che trascorrono i mesi il progetto potenzialmente eversivo della destra antidemocratica si precisa. Il corrivo ammiccare ai movimenti di estrema destra, lasciati liberi di manifestare col braccio teso nel saluto romano, indisturbati da parte delle forze dell’ordine così solerti nel bastonare gli studenti. La tolleranza verso il proliferare degli episodi di intolleranza e di violenza gratuita ai danni di omosessuali, homeless, militanti di sinistra; gli stupri di gruppo. Sono segnali di imbarbarimento che richiedono, questi sì, risposte ferme che viceversa il governo esita a dare.

    Il governo viceversa piazza una bomba ad orologeria sotto la legge 194 (autorizzando le associazioni pro vita a mettere il naso nella libera determinazione della donna di interrompere la gravidanza), dimostrando una volta di più il suo disprezzo per il genere femminile.

    È questo tutto ciò che Meloni, una donna, sa proporre per incentivare le nascite?’ Non sentite puzza di fascismo? Del fascismo 2.0, comunque ideologicamente e romanticamente legato al regime mussoliniano: o perlomeno dell’inedita (per l’Italia) produzione di un regime autoritario stile Ungheria di Orban.

    La sempre ribadita fedeltà di Meloni al verbo atlantista a trazione Usa (vedi Ucraina) la garantisce da sgambetti di matrice internazionale ma non ne altera la vocazione autoritaria negli affari domestici. E infine, se davvero il fascismo è morto con Mussolini che senso ha invocare l’antifascismo? Forse è proprio ciò che vuole Meloni. Svuotare la parola antifascista del suo significato più vero e profondo. Attenti dunque a sostenere che il fascismo è morto.

    LEGGI ANCHE: Crosetto: “Scurati? Censura fuori dal tempo, impoveriscono la Rai”

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