Si sono svolte ieri a Los Angeles le premiazioni dei Golden Globe, in piena era “politicamente corretto“, e gran parte delle vittorie sono andate a donne e artisti di colore, con rarissime eccezioni (The Crown, Borat). Vediamoli nel dettaglio. Il premio più ambito va a una donna in un film di donne: Chloé Zhao nel dramma “Nomadland” interpretato da Frances Mcdormand. Il premio alla migliore attrice all’interprete afroamericana Andra Day, per “United States Vs. Billie Holiday”, che vince la concorrenza di Carey Mulligan e della splendida Vanessa Kirby, occidentali e bianche, in “Pieces of a Woman“.
Miglior attore all’attore afroamericano Chadwick Boseman per “Ma Rainey’s Black Bottom”. Rosamund Pike vince il premio alla migliore attrice per “I Care a lot”, battendo la Maria Bakalova di Borat, a detta di molti più meritoria complice una interpretazione incredibile e spontanea, davvero strepitosa. Il premio va a Sacha Baron Cohen, come miglior attore di Borat, probabilmente per il merito della scelta e della direzione della Bakalova nello stesso film.
A seguire altri premi con chiara connotazione etnica o LGBT, Jodie Foster vince il premio di miglior attrice non protagonista con “The Mauritanian” a scapito di una assolutamente meritoria Glenn Close, strepitosa interprete di “Elegia Americana”. Anche il premio al miglior attore non protagonista ha presupposti di politicamente corretto. Vince l’afroamericano Daniel Kaluuya per “Judas and the Black Messiah”, scavalcando Sacha Baron Cohen, Jared Leto, Bill Murray.
Trionfa il politicamente corretto al premio più ambito, miglior regista. Vince Chloé Zhao, con “Nomadland“, artista asiatica, scavalcando autori occidentali. Miglior sceneggiatura a Aaron Sorkin, in “Trial of the Chicago 7”, uno dei suoi film più politicamente corretti. Miglior film animato a “Soul”, anche in questo caso protagonista un afroamericano con la voce di Will Smith. Miglior film straniero non fa eccezione, vince “Minari”, di Lee Isaac Chung, cancellando film europei occidentali, tra cui il nostro The Life Ahead, con Sophia Loren. Film, tra l’altro, davvero mal riuscito, come del resto tutti i film italiani. Non è una novità.
Vince invece Laura Pausini, artista molto attenta ai temi femministi, per la miglior canzone nello stesso film. La curiosità è che tutte le canzoni in lizza erano meglio della sua. Anche nelle commedie trionfa a sorpresa un lavoro “Gender Equality” con Shitt’s Creek a discapito del capolavoro “Ted Lasso”, girato in Europa con protagonista uomo. “Ted Lasso” si prende una piccola rivincita con la vittoria del protagonista Jason Sudeikis come miglior attore. Scontata la vittoria de “La regina degli scacchi” nella miglior serie, anche in questo caso protagonista donna. Meno scontata la vittoria di Anya Taylor-Joy come protagonista femminile, a parere di chi scrive la peggiore tra le attrici in lizza.
Mark Ruffalo vince come miglior attore in una serie televisiva per “I Know This Much is true” ed Emma Corrin trionfa per “The Crown”. Rimane a bocca asciutta “Ozark”, con protagonisti caucasici in tutte le categorie. Non vince nulla, nemmeno Jason Bateman riesce a farcela nel premio come miglior attore che va a Josh O’Connor. John Boyega, afroamericano, vince su una cinquina di attori bianchi per “Small Axe” come miglior attore non protagonista. Batte attori del calibro di Donal Sutherland, Brendan Gleeson, Jim Parson.
Hollywood ha imposto nuove regole, dal 2022 nessun film potrà vincere se non conterrà almeno una “Minoranza” e non tratterà temi di “Gender Equality”. Già l’anno scorso destò molto scalpore l’esclusione da tutte le categorie di “Euphoria” di Sam Levinson, nonostante fosse chiaramente la serie più rivoluzionaria e di qualità, e a tutt’oggi imbattuta. Sono rimaste fuori anche quest’anno le due puntate speciali di Euphoria, nonostante una delle due protagoniste sia un transgender e l’altra afroamericana.
Comunque la vogliamo pensare, questa edizione dei Golden Globe rimarrà nella storia di un solco già segnato con le vittorie molto discutibili di “Moonlight” agli Oscar qualche anno fa e di “Parasite”. O la scelta di non premiare “Storia di un matrimonio”. Protagonisti attori occidentali, regista occidentale. Bret Easton Ellis nel suo libro “Bianco” criticò la scelta portando prove. Si premia l’etnia, il gender, non la qualità. Lo dimostra il fatto che Louis C.K e Woody Allen sono stati messi agli angoli dello spettacolo americano. Complice il loro essere uomini, eterosessuali, bianchi. Seppur geni incontrastati. In questo trionfo della “Cancel Culture” a farne le spese è l’arte. È una delle edizioni più povere artisticamente della storia dei Golden Globe. E il dado è ormai tratto.
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