Dopo la pubblicazione della nostra inchiesta sulla “seconda vita di Gladio” a firma del giornalista investigativo Andrea Palladino si è messo in moto un tam tam volto ancora una volta a confondere, mischiare le carte, depistare l’opinione pubblica su quella che è una storia inquietante della nostra Repubblica. Non solo per i risvolti tenebrosi che quella vicenda ha avuto negli anni tormentati dalle stragi e dalle deviazioni degli apparati dello Stato, ma anche e soprattutto per far cadere nel dimenticatoio il ruolo che la nostra classe dirigente militare e politica rivestì nell’eseguire un disegno geopolitico ben preciso sotto la guida degli Stati Uniti d’America.
Tanto per essere chiari: la nostra inchiesta ha ricordato, tra le altre cose, che un numero di ufficiali e sottufficiali dell’esercito italiano firmò, con una dichiarazione scritta, il proprio impegno a svolgere operazioni militari speciali a supporto dell’organizzazione Stay Behind, ricevendo in tal senso un “apposito addestramento” e adempiendo a tutte quelle “attività particolari rivolte al conseguimento degli scopi che l’organizzazione” si prefiggeva.
Ma oltre a questo dato, invero già noto, il “documento segretissimo” oggi declassificato e da noi reso pubblico, ha rivelato che il direttore della settima divisione del Sismi nel luglio del 1990 si attivò per costituire una struttura illegale composta da soggetti esterni agli apparati istituzionali a cui affidare il compito di portare a termine operazioni potenzialmente criminali.
I diretti interessati oggi negano qualsiasi coinvolgimento sia in Gladio che in questa inedita struttura eversiva. Con una (auto)convinzione a tratti fideistica.
Sarebbe oggi assai più utile, nell’interesse di tutti, che gli ufficiali dell’esercito attivi negli anni Ottanta e Novanta, onorando per davvero il giuramento di fedeltà reso alla democrazia, togliessero il velo dell’oscurità su quelle specifiche operazioni speciali, alcune delle quali sembrano collegate a fatti tragici, come l’assassino della giornalista Ilaria Alpi.
C’è di più, però: a oltre mezzo secolo da quei giorni bui, è importante far luce sull’influenza che gli Usa hanno avuto, e tuttora hanno, nei confronti dell’Italia, tanto sul piano politico quanto su quello militare (vedi, oggi per esempio, alla voce Ucraina: siamo il popolo che, numeri alla mano, più rigetta il coinvolgimento in guerra sebbene il nostro governo si sia impegnato, forse più del necessario, a supporto di Washington).
Per quale motivo, dunque, questi alti ufficiali italiani, oggi in pensione, non colgono l’occasione di raccontare quelle verità, rivelando finalmente cosa accadde in quegli anni tormentati?
Perché non ci aiutano a ricostruire le vicende che hanno reso il nostro un Paese a “sovranità limitata”, come ripetono spesso alcuni di questi stessi generali? Farlo, aiuterebbe la classe dirigente di oggi ad evitare gli stessi errori di quel fosco passato.