Prima sono stati i runner, ora è il tempo di puntare il dito contro la movida. La colonna infame di manzoniana memoria, eretta come monito alla popolazione milanese per ricordare che fine facevano gli untori, ora è innalzata come monito verso chi vuole staccare un attimo da questa routine e farsi una birra con qualche amico, con le dovute cautele. Un desiderio più che legittimo, dopo mesi passati a ottemperare alle giuste e rigorose regole di distanziamento sociale, distanti dai propri cari, chiusi in casa per mesi.
Perché questo è ciò che è naturale che succeda oggi, e non solo tra i giovani: un bicchiere con gli amici non è un’usanza che scade a una certa età, e non possiamo scambiare un momento in compagnia sotto il ritrovato sole primaverile, a un metro di distanza e muniti di mascherine, per un focolaio d’untori. Anche perché così facendo rischieremmo di focalizzarci troppo sulla pagliuzza, non accorgendoci della trave di un vero assembramento. Quello sì, può essere pericoloso.
Benissimo continuare a rinunciare ad abbracciarci e a darci pacche sulle spalle, benvenga la mascherina e il metro di distanza, ma non cerchiamo untori in mezzo a chi sta cercando un attimo di evasione e, tra le altre cose, sta dando il suo contributo a far ripartire l’economia di bar e ristoranti che per cause di forza maggiore sono stati costretti a rimanere chiusi per due mesi.
C’è poi un altro tema, ovvero pensare che le bevute e le uscite in compagnia siano un’esclusiva dei giovani, e che siano loro il nuovo nemico della lotta al virus nella fase due. Lo stesso premier Conte, forse calatosi sempre di più nei panni del padre di famiglia a causa dell’emergenza, si è appellato dagli scranni di Montecitorio ai giovani, dicendo che questo non è il tempo dei party, delle movide e degli assembramenti, col rischio di lanciare il messaggio che movida sia sinonimo di giovani.
Ma sono solo i giovani a fare la movida? In primis, difficilmente qualcuno di noi sentirà la parola “movida” uscire dalla bocca di un giovane. In secundis, il rischio è che si crei uno scontro generazionale che vede i giovani come degli sfaccendati e degli untori, che fluttuano tra un bar e l’altro, destinati ad accendere la miccia del nuovo focolaio italiano di Coronavirus. Non a caso, nelle immagini delle piazze dove ci sono stati assembramenti e dove i sindaci stanno pensando di intervenire, guardando con attenzione, si possono scorgere diverse teste argentate.
Se davvero vogliamo trovare una “nuova normalità”, dobbiamo ridare alle nostre vite alcuni spazi, fatti anche di momenti di evasione, birrette in piazza con gli amici e passeggiate, che si tratti di giovani o meno. Al tempo stesso, i gestori dei locali dopo due mesi di serrata devono avere la possibilità di tornare a lavorare e di avere dei clienti. Tutto questo a un metro di distanza e con le dovute protezioni, sia chiaro. Per favore, non scambiamo tutto questo per un gruppo di untori.