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    Gaza, non è più possibile voltarsi dall’altra parte (di G. Gambino)

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 15 Nov. 2023 alle 12:45 Aggiornato il 23 Nov. 2023 alle 10:21

    Mentre entriamo nella sesta settimana consecutiva di missili e razzi in Medio Oriente, dopo che Hamas ha compiuto l’attentato più atroce contro Israele, qualcosa (forse) inizia a muoversi. Un filo sottile di buon senso smuove gli animi della comunità internazionale e alimenta i dubbi sulla legittimità da parte del governo di Netanyahu di farsi giustizia da solo, senza cioè dover rendere conto a nessuno, sebbene le sue azioni violino i più basilari principi del diritto internazionale a cui si appella e nel nome del quale sta perpetrando una strage umana (occulta e taciuta perché inaccessibile ai media) contro il popolo palestinese.
    Per oltre un mese e mezzo, infatti, abbiamo assistito al silenzio più totale, a un’omertà consapevole, da parte di buona parte dei media e della comunità internazionale tutta.

    Nessun governante mondiale aveva osato aprire bocca. L’unica idea possibile post-7-ottobre era che Israele avesse carta bianca. Un sostegno unanime senza precedenti, dettato in larga parte dall’emotività della strage messa in atto da Hamas ma anche, inutile ribadirlo, dal peso oramai divenuto insostenibile di un popolo (quello palestinese) verso cui tutti provano da sempre un briciolo di commiserazione ma ugualmente sgradito e ignorato.

    In questo senso, l’assemblea generale delle Nazioni Unite di fine ottobre ha rappresentato l’ennesimo schiaffo in faccia ai palestinesi: l’Europa ha votato divisa e diversi Stati hanno votato contro un cessate il fuoco umanitario.
    Così il mondo intero ha deciso di voltarsi dall’altra parte, assistendo, immobile, senza muovere un dito, alla strage più grave di sempre, nei confronti di un popolo indifeso, che non può scappare e non ha di che vivere. Di questo, non c’è dubbio, pagherà le conseguenze.

    Anche perché nel frattempo le bombe su Gaza, in risposta all’attacco del 7 ottobre, somigliano più a una vendetta che a una qualsiasi forma di giustizia.

    Piccola parentesi: a parte il fatto che se ogni Paese dovesse decidere di rispondere a un attacco sul proprio suolo, per quanto brutale e feroce, forse oggi il globo non esisterebbe più per la distruzione a catena innescata da simili meccanismi guerrafondai.
    Ma la suggestione che quella di Israele stia diventando solo e unicamente una vendetta, con il beneplacito di tutta la comunità occidentale appunto, appare sempre più evidente dal momento che a morire sono anche i civili e non solo i miliziani di Hamas.
    A maggior ragione, poi, se da oltre un decennio quello stesso Paese ha messo in atto una politica vessatoria e di discriminazione nei confronti dei palestinesi, tesa ad annullare in toto la loro presenza, minacciata con gli insediamenti crescenti dei coloni (più che triplicati nel frattempo).

    A maggior ragione, inoltre, se l’Occidente – forse mai come in questo ennesimo conflitto che investe il Medio Oriente – si gioca tutta la sua credibilità, poiché sta applicando a Gaza standard diversi da quelli applicati nemmeno un anno fa in Ucraina. E non vale il gioco “che sono due situazioni diverse”, se i valori che decidiamo di applicare verso un popolo valgono per davvero, devono essere universali e assoluti affinché siano credibili.

    A maggior ragione, infine, se si considera che il diritto a difendersi di Israele possa ormai ritenersi ampiamente superato dai devastanti numeri davanti ai nostri occhi: l’esercito israeliano infatti ha ucciso, in poco più di un mese, più civili di quanti ne siano stati uccisi dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Si parla cioè, secondo le autorità di Gaza, di oltre 11mila vittime, inclusi 4.500 bambini (in Ucraina sono 10.750 e 500 minori). Gli ospedali sono fuori uso, non ci sono aiuti per la popolazione, non c’è luce, non c’è cibo, non c’è acqua. Oltre 40mila tra palazzi e abitazioni sono stati distrutti, oltre 90 edifici governativi abbattuti, 70 moschee e 3 chiese sono state rase al suolo, 250 le scuole danneggiate.

    Questa è una carneficina, non il diritto a difendersi. È una tragedia di esseri umani, morti ammazzati, non una legittima risposta. È una crisi senza precedenti, non la ricerca di giustizia. È una vendetta che, con i soli numeri alla mano, rappresenta dieci volte tanto la schifezza compiuta da Hamas.

    Qualcosa però sembra muoversi, dicevamo. C’è voluta una catastrofe di tale portata per risvegliare le coscienze di chi governa il mondo, posto che le manifestazioni in tutto il pianeta a favore del popolo palestinese si sono succedute quasi incessantemente dal 7 ottobre scorso. Il presidente francese Macron ha apertamente dichiarato che Israele deve fermarsi. Joe Biden cerca di tenere al guinzaglio Netanyahu, come un padrone con il suo cane arrabbiato. Un diplomatico israeliano ha recentemente dichiarato che la pressione internazionale sta iniziando a farsi sentire e… che «abbiamo ancora tre settimane prima che questa pressione non sia più ignorabile».

    Questa guerra, più di ogni altra cosa, dimostra come i rispettivi popoli moderati – tanto quello israeliano quanto quello palestinese – siano ben più lucidi e ragionevoli dei loro governanti e comandanti, accecati dalla fame di vendetta.

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