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    Meloni, quel glitter anni ’80 e lo strano concetto di sessismo dei Fratelli d’Italia

    L'immagine di Giorgia Meloni commentata da Selvaggia Lucarelli
    Di Selvaggia Lucarelli
    Pubblicato il 9 Feb. 2021 alle 16:04

    Il 9 febbraio è una di quelle date da segnare sul calendario e da celebrare ogni anno perché ricorrenza di una grande scoperta. E cioè: Fratelli d’Italia e i suoi elettori e rappresentanti hanno una loro sensibilità. Un loro punto di fragilità. Un tema su cui si stringono commossi e compatti. Un argomento su cui non accettano cinismo e aridità: IL GLITTER.

    Ebbene sì, a loro non frega nulla dei migranti, delle navi delle ong che vanno affondate, dei gay che non devono adottare e delle famiglie tradizionali, di elettori e buona parte della classe dirigente nostalgica del fascismo, dei fratelli d’Italia finiti in galera per ‘ndrangheta.

    No. Loro si offendono se dici che la loro leader donna-mamma-cristiana è pure glitterata. Un’offesa indicibile. Una ferita insanabile. Un dolore inconsolabile, per la povera Giorgia, che da ieri, per il mio tweet sul suo ombretto glitterato che sfoggiava ieri in tv (“La Meloni ha rispolverato la trousse Deborah dell’85”) non chiude occhio.

    Forse anche perché non è ancora riuscita a struccarsi, tanta è la sofferenza che l’affligge. Dire che il suo trucco in tv era anni ’80, che frase terribile. “Bodyshaming”, “Cyberbullismo!”, “E la solidarietà femminile?”, tuonano i suoi. Ed è bizzarro per due motivi: primo perché non si capisce bene quale sia il concetto offensivo.

    L’anno 1985 è insultante? Ma è un anno incredibile il 1985! Sono nati Ronaldo, Mario Bros e Ritorno al futuro, nel 1985. Potrei capire, che so, se avessi fatto riferimento a una trousse del 1924, anno delle prime elezioni fasciste, ma cosa avete contro il 1985, amici di Fratelli D’Italia?

    Di sicuro non ce l’avete con la marca “Deborah”. Avrei potuto dire “Huda” ma ho privilegiato il made Italy, come piace a voi. Il glitter che ha di intrinsecamente offensivo?

    Cioè, se dico che una si veste anni ’50 è bodyshaming? Quando dicono “Monti col suo loden anni ’70” è cyberbullismo? Quando scrivono che un’attrice o una cantante ha un look vintage è accanimento? Ma siete tutti scemi? Ah già, no, siete Fratelli d’Italia.

    Viene da chiedersi con quale terrore affronteranno Sanremo i commentatori social di tutto il paese. Basta un “Nina Zilli ha rispolverato una pettinatura anni ’30” per finire sodomizzati con una rosa spinata sanremese a gambo lungo.

    La Meloni, per giunta, è un leader politico e non serve spiegare che la satira si fa sui potenti, mica sulle mezze calzette (fermo restando che questa era una blanda battuta, manco satira). E la satira, sull’estetica della Meloni parte dai tempi del suo amato photoshop, sulla faccia piallata, la luce mariana, la sua somiglianza con Charlize Theron sui 6×3.

    Una satira, direi, più che gentile, che non ha mai turbato nessuno, nemmeno la Meloni. Ma Fratelli d’Italia, col suo comprensibile complesso di avere un manipolo di commentatori aggressivi, sessisti, violenti spesso spalleggiati da vari esponenti del partito sia a livello locale che nazionale, collezionisti di figure di merda epocali e di ignobili frasi L’iste, è alla ricerca disperata di scuse per fare un po’ di vittimismo facile.

    La Meloni truccata anni ’80? Bodyshamiiiiiing. Tra parentesi, ora sappiamo che i fratellini d’Italia hanno imparato la parola “bodyshaming”, chissà che non imparino presto anche cosa significhi “antifascismo”.

    Tra i tanti indignati che stanotte hanno faticato a dormire, così in pena per la Meloni, c’è Guido Crosetto, uno che usa i social retwittando i suoi commenti, tanto per intenderci. Uno che dopo essersi comicamente inventato di avere una laurea tempo addietro, continua a inventarsi cose per dipingere la Meloni come una povera vittima dell’odio della rete, quell’odio da cui i fratellini d’Italia si dissociano, notoriamente.

    E quindi, l’ancello Crosetto commenta il mio osceno, imperdonabile insulto “Gorgia Meloni con quel glitter ci sta dicendo qualcosa”, così: “La ‘signora’ Selvaggia ci da un’ennesima prova della sua capacità di scandalizzarsi il lunedì e dare scandalo il martedì, indignarsi per la violenza social la mattina ed esercitarla la sera. Odia e non riesce a nascondere il suo sentimento”.

    A parte che se c’è una cosa che io odio è quel “da” senza accento che fa venire il sospetto che si sia inventato pure il diploma, vedere il Crosetto fondatore del partito che dell’odio si abbevera e abbevera i suoi elettori, in versione femminista-pacifista-pacificatore è tra i momenti più comici degli ultimi anni. Quasi quanto quella volta che il direttore del Museo egizio Greco spiegò alla Meloni la differenza tra lingua araba e religione musulmana.

    Crosetto, quello che a una giornalista de la Stampa disse in un fuori onda: “L’argomento che devo usare con te lo sai qual è… È che a te non ti spoglierebbe nessuno”. Il femminista. Lui e le sorelline d’Italia, altrettanto indignate e femministe, quelle che meriterebbero di venire catapultate nel ventennio fascista e provare l’ebrezza di non contare nulla, di dover fare le mamme, le donne, le cristiane e la calza.

    Quelle che “povera Meloni, povera piccoletta mortificata da un riferimento orribile al suo glitter” ma non hanno nulla da dire sulla piccoletta indifesa che teme il cous cous nelle mense scolastiche, che vuole l’abolizione del reato di tortura perché impedisce agli agenti di LAVORARE, che preferirebbe non avere un figlio gay, che basta con questa identità lgbt, che i migranti se ne tornino a casa loro, che portano il Covid, che affondiamo le navi delle Ong, che no alle adozioni gay, che blablabla, povero angioletto indifeso, promotore di campagne d’amore e tolleranza.

    Quella che ha tra i cavalli migliori della scuderia il presidente della Regione Marche, quello che passava a salutare gli amici nel ristorante in cui accanto allo spallino di vitello al tartufo, sul menù, campeggiavano nell’ordine: un fascio littorio, un’aquila con la scritta “Per l’onore dell’Italia”, il motto “Dio, patria e famiglia”.

    Quella che ha tra gli elettori anche i tanti bandierini che attaccarono la migrante salvata in mare perché aveva lo smalto. Lo smalto, non il glitter. Ma lì non era bodyshaming, e ve lo dico io. Lì era schifo, e basta. Era delegittimare il dolore.

    Insomma, alla fine, in fondo, avete ragione voi: il problema della Meloni non è il suo glitter anni ‘80, il problema è la mentalità anni ’20. Quella brutta, quella peggiore, magari mascherata da indignazione femminista. Quella che in queste ore mi sta dando della puttana, vacca, zecca, comunista, per difendere la Meloni dagli attacchi sessisti. Certo. E no. Non sarà un po’ di glitter a mascherare quello che siete.

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