L’orologio di Macron sbaglia sempre l’ora. Non è questo il momento per la sua riforma delle pensioni fatta passare, con una scorciatoia costituzionale, senza il voto parlamentare e senza il consenso dei cittadini. «Vogliamo un presidente dei poveri», urlano i cortei, ma il presidente, formato nelle scuole dei tecnocrati e allevato nelle banche d’affari, ha lo sguardo rivolto al passato, è convinto di entrare nella storia elevando l’età pensionabile da 62 a 64 anni.
In effetti può sembrare una riforma leggera se paragonata a quelle più dure realizzate in Europa e anche in Italia dove abbiamo avuto la professoressa Elsa Fornero che sbagliava i conti. Ma in politica il tempo è tutto, un errore e sei finito.
I gilets jaunes del 2018, la rivolta per il gasolio che costava troppo, le campagne che invadono le città: Macron non ha compreso o ha sottovalutato il malessere profondo della società.
In Francia si ribellano i lavoratori, il pubblico impiego, i sindacati, l’opposizione e anche i giovani che sarebbero i maggiori interessati alla riforma secondo la visione distorta del presidente. Si è destato quel ceto medio che non vede più la possibilità di salire nella scala sociale, ma teme di precipitare all’indietro.
Ha scritto l’economista Thomas Piketty: «Macron ha sbagliato epoca, applica ricette inadatte come se fosse rimasto fermo all’euforia neoliberista, al mondo prima della crisi del 2008, della pandemia e della guerra in Ucraina».
Siamo in un’altra epoca, sono cambiate le condizioni di vita e le aspirazioni dei cittadini, che si chiedono se non sia giunta l’ora di una svolta, di mutare l’ordine dei valori. Ci sarà pure una ragione se milioni di lavoratori lasciano volontariamente il posto sicuro.
«Vogliamo vivere!», scrivono sui muri di Parigi. Ecco, tutto qui: vivere! Il sistema, così come lo conosciamo, non va più bene.
Macron pensa all’equilibrio dei conti, ma sbaglia le ricette. Oggi l’urgenza è contrastare le crescenti disuguaglianze sociali, colpire la concentrazione di patrimoni e ricchezze, affrontare l’emergenza climatica e la crisi energetica.
Nel suo primo mandato presidenziale il socialista Francois Mitterand introdusse la “patrimoniale di solidarietà” per fronteggiare la crisi e non ebbe timore, con il leggendario ministro Robert Badinter, di abolire la pena di morte. Perché Macron non prende i soldi dove ci sono, perché non tassa i più ricchi, perché non alza i prelievi sui profitti e le rendite anziché colpire i lavoratori?
Sul fisco i governi si giocano credibilità e futuro. Lo scorso anno la premier inglese Liz Truss è stata costretta alle dimissioni dopo soli 44 giorni a Downing street a causa di una riforma fiscale che ha gettato nel panico la City e il Financial Times, provocato scioperi, il blocco della sanità e dei trasporti. Truss voleva rilanciare l’economia introducendo tagli fiscali per i più ricchi. Una sciagura, come la Brexit.
La novità, la proposta più forte arriva dagli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha presentato un progetto fiscale che in Italia sarebbe giudicato una minaccia bolscevica. Il presidente democratico vuole introdurre una tassa minima del 25% sui redditi dei ventimila super-ricchi (i cittadini con un patrimonio superiore ai 100 milioni di dollari) per finanziare per altri venticinque anni l’assistenza sanitaria pubblica a favore degli anziani.
Biden punta anche ad aumentare dal 21 al 28% l’imposta sui profitti d’impresa, mentre il prelievo sui redditi superiori ai 400mila dollari annui salirebbe dal 37 al 39,6%. Verrebbero così ridotti i regali di Trump ai ceti più benestanti.
Il Corriere della Sera ha definito «populista» l’idea di Biden, quindi una bocciatura. Invece, dopo l’ubriacatura grillina, sarebbe bene recuperare il senso profondo del populismo, che in Italia rappresenta una storia, una cultura di quando un popolo c’era, fatto di operai, contadini, artigiani, impiegati e quando dirsi populisti significava una scelta coerente del campo in cui combattere.
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