“E adesso di questi che ve ne fate?”, scrive Adriano Sofri. E intende: cosa ve ne fate di questi vecchi latitanti arrestati a Parigi? In questa domanda – ovviamente – c’è sottinteso un “Voi”, che poi saremmo “noi”, ovvero tutti quelli che hanno considerato come un atto di giustizia la riconsegna alla magistratura italiana di imputati, quasi tutti omicidi, che erano fuggiti in Francia per sottrarsi alle proprie condanne e alle proprie responsabilità.
È una argomentazione abile, e insidiosa. Sono vecchi, stanchi, qualcuno malato. C’è il fegato di Giorgio Pietrostefani. C’é la psicopatia di Marina Petrella: cosa guadagniamo “noi” se finiscono in carcere? C’è in questo ragionamento di Sofri qualcosa di folle, un sentimento medievale, per cui non è solo Stato che recupera dei latitanti, ma una opinione pubblica affamata di sangue che appaga il suo senso di utilità con un basso sentimento vendicativo.
Bene, è molto semplice: “noi” di questi latitanti “non ce ne facciamo nulla”. Così come a nulla ci serviva Totò Riina malato in carcere, a nulla ci servono gli stupratori condannati, a nulla i tangentari ristretti ai domiciliari. Lo Stato è giustizia, non è vendetta.
Ma seguendo questo filo logico dell’utilità bisognerebbe anche dire che la fuga di Pietrostefani “serviva” solo a Pietrostefani. Mentre la sua pena, dopo un giusto processo, “serve” a tutti. Una condanna, in uno stato democratico, non è la legge del taglione: la condanna di un reo è uno dei contratti sociali su cui si fonda la nostra civiltà moderna. Non un palliativo per i familiari delle vittime.
L’arresto di Pietrostefani “serve” a me, come al figlio del commissario Calabresi. Perché una condanna, in uno stato di diritto non è “occhio per occhio” che serve a risarcire il dolore di qualcuno con la sofferenza di un altro, ma piuttosto il dolore di tutti, per riscattare una ingiustizia che non potrà mai essere rimediata. Sofri evidentemente non lo ha capito: ma l’arresto di Pietrostefani dovrebbe essere utile anche a lui, se non altro come un aiuto per farlo smettere di pensare a “noi” e a “loro”.
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