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    Guardate questa foto e abbiate il coraggio di denunciare il cattivismo di chi alza i muri

    Credit: STR / AFP
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 27 Giu. 2019 alle 07:56 Aggiornato il 27 Set. 2019 alle 13:36

    Foto migranti Messico – Questa foto è un dramma, ma forse anche un regalo. Di certo è un pugno nello stomaco. Scomposti e ricomposti, collocati sulla frontiera del dolore un padre e un figlio, o un adulto e un bimbo, se ne stanno stretti l’uno all’altro in una pozza.

    Questi due corpi disegnano un quadro obitoriale, una geometria luttuosa, un fotogramma che ferma gli orologi del nostro battito cardiaco. Due corpi, avvinti uno all’altro in un ultimo abbraccio che pare prodotto da un mulinello, dal gorgo della storia, dal caso, dal disvelamento di un abisso, e che eppure, malgrado tutto, sono ancora legati dal bandolo di una maglia dilatata.

    Un bambino e un uomo, o un padre e un figlio, o due fratelli, o forse solo due vite dissolte. Un paio di scarpe da bambino immerse per metà, un braccio intorno ad un collo, i volti invisibili, affogati nella pozza d’acqua a faccia in giù: storie che poco prima stavano su una zattera, o correvano lungo un muro, o si infilavano sotto un filo spinato.

    Due cadaveri che diventano simbolo dei tempi feroci, una visione dantesca che può dire tutto o nulla, a seconda di come li guardate: sono un regalo per chi vuole aprire gli occhi, un dramma per chi li vuole tenere chiusi, un pugno nello stomaco per tutti gli altri.

    Questi due corpi ristagnano in una pozza d’acqua che sta al confine del Messico, ai margini del Rio Grande, ma che potrebbe essere un punto imprecisato del Mediterraneo, o galleggiare vicino uno scoglio di Lampedusa, o anche sulla battigia dell’isola di Lesbo.

    Potrebbe trovarsi ovunque. Potrebbe perché ovunque siano, è certo che questo luogo oggi è terribilmente vicino alle nostre coscienze anestetizzate. Come per il corpo di Aylan Kurdi, che frantumò ogni barriera per diventare un messaggio universale, questi due cadaveri infrangono il silenzio e ci parlano.

    E lo fanno proprio oggi, mentre un altro muro invisibile si è sollevato sui porti del mediterraneo. Questo muro non è solo il muro di Trump, non è solo il muro di Orban, o il muro di Salvini. Questo muro è il confine fortificato che abbiamo lasciato passare in mezzo ai nostri cuori.

    Un padre e un figlio in una pozza d’acqua, Rio Grande, Messico. Due cadaveri spiaggiati da un naufragio, residui ultimi di una piccola grande odissea. Portateli a casa vostra, dicono. E infatti lì vorrei portarli, senza sciogliere questo nodo che forse è solo un groviglio, senza toccare quel lembo di maglia che li avvince, e che a me sembra il prodotto di un ultimo disperato abbraccio di protezione.

    Vorrei celebrarle – queste due vite perdute, senza rompere l’incantesimo della catarsi, senza dover capire se questi due corpi sono legati dal sangue oppure solo dal destino.

    L’immagine di Aylan, ridotta a fagotto sulla riva di una spiaggia costrinse il mondo a vedere quello che non voleva fermarsi a contemplare. Questi due corpi uniti, galleggiano anche per costringerci a prendere atto di tutto quello che oggi non vogliamo capire.

    Siamo accecati dalla ferocia che ci circonda, intontiti dal coro dell’odio, anestetizzati rispetto alla prospettiva della morte.

    Adesso conosciamo le loro storie: il bimbo in realtà è una bimba, si chiamava Valeria. Il padre si chiamava Oscar Alberto, la moglie Tania Vanessa. I tre migranti si trovavano a Matamoros, proprio al confine con gli Stati Uniti, e non avevano cento dollari per pagare i traghettatori clandestini.

    Si sono immersi nelle acque lo stesso, e sono stati travolti dalla corrente, padre e figlia, insieme, malgrado quel tentativo di imbarcarsi l’uno all’altra, con la maglietta.

    Fermatevi davanti a questo groviglio, che forse è un abbraccio, e che di sicuro è l’allestimento involontario di una camera ardente.

    Pensate a quelli che fuggono, a quelli che sono in viaggio, a chi rischia la pelle sui barconi, e pensate che vanno salvati. Incassare il pugno nello stomaco, aprire gli occhi, avere la forza di denunciare il cattivismo.

    Non c’è nulla di più giusto che stare dalla parte di chi galleggia in questa pozza, legato da un lembo di maglia, dimenticato da tutti. Non c’è nulla di meglio che decidere di stare dall’altra parte del muro, controcorrente, nel gorgo dei tempi feroci.

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