L’altro giorno ho letto, non mi ricordo bene dove, che un giovane ragazzo di colore, Khabane Lame, aveva fatto impazzire Tik Tok con le sue scenette senza audio piene di ironia e dispensatrici di risate a raffica. Come miele per gli orsi. Mi sono precipitato. Ed ho scoperto un giovane ventunenne, dall’aspetto molto carino e simpatico.
Ed ho scoperto anche che, sebbene ufficialmente proveniente dal Senegal, Khabane vive a Chivasso da quando aveva un anno. Insomma è un italiano a tutti gli effetti per un benpensante come me. Una scoperta dietro l’altra. Khabane è disoccupato, o almeno lo era finché non ha raggiunto recentemente, ed in pochissimo tempo, quasi 13 milioni di follower su Instagram e addirittura 53 milioni su Tik Tok.
In due mesi ne ha rimediati più di quanti ne ha ramazzati Fedez in nove anni. Gli hanno fatto anche i conti in tasca: ha guadagnato 5mila euro in dieci giorni. In breve è diventato uno degli italiani più famosi nel mondo dei tiktokers ed ha avuto i complimenti di Mark Zuckerberg che ha superato in follower, in clic, in like, in tutte quelle cose che rendono famosi tutti quelli che giocano sui social. Bene. Sono andato a vedere quello che fa il giovanotto senegalese ma in realtà italiano.
Scenette da mimo, cioè senza audio, in cui prende in giro quei tutorial che in Internet insegnano ad aprire le bottiglie senza cavatappi, le lattine senza aprilattine, a consumare un brodino con le forchette e altre prodezze del genere. L’idea, devo ammetterlo, è buona anche se non geniale. E comunque a me non ha fatto ridere. Del resto io non rido quasi mai delle prodezze dei nuovi divi dei social. Sono vecchio, lo ammetto, ed ho bisogno di stimoli forti. Ma naturalmente sono stato criticato. Ma come? Milioni di follower e tu non ridi? I tiktokers sono di bocca buona e sono contento per loro e per Khabane.
Ma possibile che io debba perdere minuti preziosi della vita che mi rimane per spiegare che il successo non è sinonimo di qualità? A me sembra un concetto elementare che non ha bisogno di tanti chiarimenti. Sono contento, anzi contentissimo, per Khabane che sicuramente viene “rimborsato” per le tante magagne che ha dovuto sopportare finora, a cominciare dal fatto che dopo venti anni di Chivasso non ha ancora quel benedetto passaporto italiano che gli consentirebbe di andare negli Usa a monetizzare la sua fama ed il suo successo.
Ovviamente non ce l’ho con lui. Lui merita tutto quello che gli sta capitando di buono. Ce l’ho con chi confonde i follower con la genialità, con chi pensa ancora oggi che se non hai milioni di like sei un fallito. Ce l’ho con quelli che fanno dilatare il proprio ego ogni volta che un loro post ottiene milioni di condivisioni e di interazioni. C’è un giornalista ormai maturo, e quindi si presuppone di buonsenso, che ogni volta che litiga con qualcuno gli spara addosso le sue vagonate di like confrontandole con le miserie dei like del suo “avversario”.
Io sono il giornalista più popolare sui social italiani. Tu non hai nemmeno una piccola parte dei follower che ho io. Come quei bambini che passano il tempo a confrontare la lunghezza dei rispettivi piselli. L’altro giorno in una stanza di Clubhouse sono stato assalito da un giovanotto che protestava perché mi ero permesso di criticare i suoi pipponi pseudopsicologici, farciti di “energie e vibrazioni positive” che ammanniva a folle di fan adoranti. Ho cercato di spiegargli come è la vita. Ma invano. A lui sembrava folle che si potesse criticare il successo. Viva Khabane. Tu si che sei un uomo giusto. Faccio il tifo per te, anche se non mi fai ridere. Per adesso.
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