L’Italia intera non riesce a crederci. Il calendario segna 5 luglio 2021 quando esplode la notizia della morte di Raffaella Carrà. Era nata a Bologna il 18 giugno 1943 e ha chiuso gli occhi a Roma 78 anni dopo. Tocca al professor Giovanni Mangiaracina dell’Università La Sapienza spiegare che l’artista più amata della nostra televisione è deceduta per un tumore ai polmoni. Il male l’ha assalita e fino all’ultimo lei ha scelto di non informare il pubblico: per non turbare chi da casa le ha voluto bene, ma anche per non consentire al buio di un dramma di prevalere sulla luce di un’intera carriera.
A caldo, quel lunedì, Sergio Japino racconta del nemico che «ha attaccato il corpo minuto eppure pieno di una straripante energia» della sua compagna. Renzo Arbore, cupo in volto, sostiene che gli storici vedranno nella scomparsa dell’amica Raffa «la fine della bella époque del piccolo schermo». Altrettanto grato è il saluto di Sergio Mattarella, in questo caso più fan che presidente della Repubblica: «Volto televisivo per eccellenza – dichiara – ha trasmesso con la simpatia un messaggio di eleganza, gentilezza e ottimismo». Dopodiché piovono messaggi a lutto da ogni parte e personalità. Una tristezza che attraversa la penisola da Mario Draghi a Enrico Letta, da Giorgia Meloni a Virginia Raggi, passando per Vasco Rossi, Gianni Morandi e mille altri ancora. Ondate di cordoglio dove Carrà è citata come ballerina, attrice, soubrette, cantante, autrice, conduttrice televisiva e voce radiofonica. Tutto giusto, tutto vero. Ma non abbastanza per fotografarla a figura intera.
Raffaella Maria Roberta Pelloni, in arte Carrà dal cognome del celebre pittore, è stata soprattutto una rivoluzionaria. Non una di quelle icone pronte a cadere sulle barricate in nome della libertà. Una pasionaria garbata, piuttosto: forte delle proprie idee, poco disposta al valzer dei compromessi e conscia che i cambiamenti veri richiedono la capacità di resistere anche quando mollare è la strada più facile. Qualità che cova già a otto anni, allorché si sposta dall’Emilia Romagna a Roma per entrare all’Accademia di danza. Alle spalle si lascia il divorzio tra il padre Raffaele, titolare di un’azienda agricola, e la madre Angela Iris. Più avanti la attendono delusioni e grandi opportunità. Certo farà male, a 14 anni, vedersi accantonata in Accademia dalla fondatrice e stella russa Jia Ruskaja. E altrettanto ostico sarà, da giovane donna, lasciare il cinema (dove lavora negli anni Cinquanta e Sessanta in pellicole made in Italy e addirittura hollywoodiane con Frank Sinatra) per dedicarsi soprattutto alla televisione.
Ma proprio questo salto di generi, passioni ed emozioni provate e procurate, sarà la carta magica dell’anticonformista Carrà. Che non porge alle telecamere una maschera conveniente di sé stessa, bensì la propria sincerità. La figura di una showgirl sintonica da un lato con le sue ambizioni e dall’altro con le mutazioni sociali in corso. Non bambolina cinica e stereotipata, ma interprete efficace dei tempi che abita. Da qui, da questo incrocio tra creatività e disciplina, sboccia la rivoluzione gentile di cui ci sentiamo orfani. È il 1971 – lo stesso anno in cui la Corte Costituzionale abroga l’articolo del codice penale che vieta la produzione, il commercio e la pubblicità degli anticoncezionali – quando a “Canzonissima” Raffaella Carrà e Alberto Sordi cantano e ballano il Tuca Tuca. Lo scandalo degli scandali, per i benpensanti straniti dall’ombelico esposto di Raffa e dal dettaglio ludico che Sordi lo sfiora. Lo stesso sgarbo al trombonismo che il duo artistico ed amoroso Boncompagni-Carrà propone spesso nelle canzoni. «Se lui ti porta su un letto vuoto», recita il testo di «A far l’amore comincia tu», «Il vuoto daglielo indietro a lui, fagli vedere che non è un gioco, fagli capire quello che vuoi».
E siamo nel 1976. Poi verranno il varietà “Ma che sera”, la gioia dell’album “Fiesta”, gli anni Ottanta del “Fantastico” seguito da oltre 20 milioni di telespettatori e della nascita su Raiuno di “Pronto, Raffaella?”, spazio all’ora di pranzo tra giochi, fagioli ed empatia popolare. Anche quest’ultima, alla sua maniera, è una rivoluzione: lieve quanto vi pare, nazional-popolare quanto volete, ma all’epoca intersezione audace tra fasce di palinsesto, stili e sapori. Che poi è l’emblema della grammatica espressiva della caschettata Carrà: non cedere alle abitudini, non escludere mai nessuno dai sogni offerti in video, e anzi affollare lo schermo di suggestioni e colori che esplicitino la meraviglia del vivere. A trecentosessanta gradi, senza giudizi o pregiudizi. Non a caso nel 2020 il quotidiano inglese The Guardian la incorona sex symbol d’Europa, esaltandola in quanto «icona culturale che ha insegnato le gioie del sesso».
La stessa indole selvatica e solare assieme che nel 2017 le fa vincere la corona di ambasciatrice dell’amore al World Pride di Madrid: riconoscimento Lgbtq+ a una persona che quando canta trova il suo refrain identitario in quella “Tanti auguri” dove festeggia “chi tanti amanti ha, in campagna ed in città”.
Il non detto, in queste parole, è che la felicità – ovunque essa si manifesti – è un diritto imprescindibile. L’importante è non smettere di desiderare ciò che ti sta a cuore, anche nei passaggi più ru- vidi dell’esistenza. Se poi non ti riesce, se le difficoltà battono la volontà, se soprattutto i tuoi mezzi pratici e spirituali giacciono sotto le inquietudini, ecco che queen Raffa afferra le tue mani dalla tv per farti riemergere. “Carràmba! Che sorpresa”, scandisce entusiasta dal 1995 su Raiuno. Viva i ricongiungimenti familiari inattesi, viva gli amori che con un tele-aiuto si ricompongono, e anche viva la vita che a volte ti sorprende in questo format adattato dal britannico “Surprise, surprise”. Il tutto, va da sé, senza sfuggire alla prima regola dello show, che vuole accanto alle lacrime ed emozioni il contrappeso di gag, sketch scacciapensieri e cantanti strafamosi da Mariah Carey a Julio Iglesias, da Robbie Williams a Céline Dion.
«Raffaella Carrà – ha scritto il premier spagnolo Pedro Sánchez – è stata una donna che ha ispirato a varie genera- zioni felicità, coraggio e impegno». La rivoluzione di chi nella corsa sfrenata all’ego non ha perso di vista gli altri. La bellezza di una star che, prima di congedarsi dal mondo, ha condotto su Raitre un programma di interviste titolato “A raccontare comincia tu”. Ancora una volta, e per un tempo eterno, dalla parte del prossimo.