Elezioni regionali Liguria, Ferruccio Sansa per resistere a Salvini. Ma il M5S rischia di rovinare tutto
In Liguria in queste ore, c’è un cruciale test di sopravvivenza del nuovo centrosinistra, e – in contemporanea – si svolge un test intellettivo sulle capacità di comprensione politica dell’ala ortodossa del M5s. In Liguria fino a lunedì il risultato elettorale era già scritto: da un lato il centrodestra unito, dall’altro i giallorossi divisi. Da un lato il Pd, dall’altro l’aspirante candidata grillina, Alice Salvatore. Una partita senza storia, sconfitta sicura.
Poi è arrivato l’elettrochoc dell’Emilia Romagna. La lezione severissima per il M5s – che ha perso un voto su due – e il segnale forte per il centrosinistra, che è riuscito a vincere dopo una campagna elettorale durissima, guidata in prima persona da Matteo Salvini. Così a Genova – nella società civile – sull’onda di questa lezione qualcosa si muove.
A partire da “Megu”, alias Domenico Chionetti l’erede di Don Gallo, il coordinatore della prestigiosa comunità di San Benedetto al Porto. Megu e altri pontieri – nel ruolo provvidenziale di Sardine ispiratrici – si mettono al lavoro per trovare un candidato comune che aiuti una coalizione comune a colmare il fossato tra i gialli e i rossi. Questi esponenti della società civile anche il nome ideale per fare da ponte: quello di Ferruccio Sansa, firma di punta de Il Fatto Quotidiano, inchiestista di razza che si è fatto le ossa raccontando della speculazione edilizia, dei crimini ambientali e del malaffare in Liguria.
Sansa conosce il territorio palmo a palmo, sa districarsi tra affari e delibere. Quale presidente migliore per rappresentare una alternativa? La penna del giornalista, per anni, è stata il pungolo del vecchio centrosinistra di governo ligure, la bestia nera della giunta Burlando.
Ferruccio è – tra le altre cose – figlio di Adriano, ex magistrato integerrimo, sindaco di Genova che dopo essere stato eletto una prima volta trionfalmente, perse al secondo mandato per non essere venuto a patti con l’ala più governista dell’ex Pds. Da sempre è amico di Beppe Grillo – anche se una una volta ci ha litigato -, da anni è considerato un riferimento dagli attivisti liguri pentastellati.
Ma il paradosso di oggi, invece, è che questa candidatura, dopo la grande paura dell’Emilia Romagna, è benedetta dal nuovo Pd di Nicola Zingaretti, interessato al dialogo con i movimenti e desideroso di cementare anche a livello locale l’alleanza giallorossa, ma combattuto da un pezzo di M5s. Quale? Quello che fa capo alla consigliera uscente Alice Salvatore, ex candidata (sconfitta) nella tornata precedente, auto-candidata a sfidante di Toti.
In mezzo c’è il solito caos decisionale pentastellato: i parlamentari divisi, il “facilitatore” Danilo Toninelli che non si è ancora pronunciato e – dicono – sarebbe anche lui tentato dalla via “autonomista”, né con la destra né con la sinistra.
E così la Salvatore promette battaglia e lancia i suoi proclami: “Gli attivisti hanno già votato! La consultazione su Rousseau ha già deciso che correremo da soli!”. E ancora: “Quelle che parlano di una alleanza con il centrosinistra sono voci infondate. Gli iscritti alla piattaforma hanno già deciso e hanno scelto di avere un candidato presidente del Movimento 5 Stelle. E infatti io sono qui. Non ho nessuna intenzione – conclude la consigliera grillina – di fare passi indietro”. Geniale: preferisce perdere da sola, piuttosto che far vincere il suo movimento con un candidato che da sempre è vicino alla sue battaglie.
In realtà è ovvio che, di fronte ad una nuova prospettiva, la piattaforma Rousseau potrebbe essere consultata di nuovo. Se non altro per evitare una disfatta annunciata, con Giovanni Toti che ovviamente in questo momento gode: è il governatore uscente, ha dietro di sé una coalizione unita e la benedizione di Matteo Salvini. Se si dovesse trovare di fronte due schieramenti con un candidato del Pd ed uno del M5s divisi vincerebbe a mani basse.
Il dibattito che si sta verificando in Liguria, dunque, è la perfetta cartina di tornasole di quello che si sta verificando a livello nazionale. Tra maggio e giugno – basta questa sintesi per capire le sfide che si profilano – oltre che a Genova si voterà per il rinnovo del Consiglio regionale in Campania (candidati possibili ma – come vedremo – non ancora certi: Stefano Caldoro e Vincenzo De Luca), nelle Marche (dove Giorgia Meloni sta spingendo il “suo” Francesco Acquaroli alla guida di tutta la coalizione e il centrosinistra ha l’uscente Luca Ceriscioli, ex sindaco di Pesaro), in Puglia (dove ritorna Raffaele Fitto, destinato a scontrarsi con Michele Emiliano), in Toscana (dove per il centrosinistra sembra fatta per Eugenio Giani, mentre Salvini vorrebbe la sua Susanna Ceccardi).
Ma non basta: nel 2020 voteranno anche i cittadini di Napoli, Roma e Terni (per le elezioni suppletive di Camera e Senato). Sempre quest’anno – per di più – si voterà per eleggere i sindaci di molte città rappresentative come Aosta, Arezzo, Reggio Calabria, Trento e Venezia. In questo caso la data possibile dovrebbe cadere tra il 15 aprile e il 15.
Si tratta di un folle sudoku della politica fatto di veti incrociati, do ut des tra partiti, contrattazioni strenue fini all’ultima poltrona. La grande rincorsa di Matteo Salvini per conquistare il governo parte da qui. Sarà interessante capire se la vocazione suicida della Salvatore, e la tentazione di un pezzo del M5s di correre ancora una volta da solo (con gli effetti autolesionistici che abbiamo visto in Emilia Romagna) prevarrà sul buonsenso, o passerà la mano, rendendo contendibile la sfida a Salvini e ai suoi alleati.